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 2016  giugno 09 Giovedì calendario

Da Atene a Londra, da Montreal a Grenoble: i precedenti sulle Olimpiadi parlano di spese incalcolabili e debiti decennali

Olimpiadi: sì, no, forse. Da mesi nella Capitale si discute della candidatura della città a ospitare i Giochi del 2024. Un dibattito, per la verità, finora piuttosto ristretto all’arena politica: intellettuali, artisti e opinion leader si sono ben guardati dal prendere una posizione a riguardo. Troppo pesanti gli interessi in ballo. Di sicuro, i cittadini – alle prese con le voragini nelle strade e cumuli di rifiuti – non hanno ancora mai potuto esprimere il loro parere in merito.
Prima di finire al centro della campagna elettorale per il Campidoglio, la discussione sulla candidatura ai Giochi del 2024 era già partita da diversi mesi. A gennaio, infatti, il Comitato Referendum Roma 2024, guidato dai Radicali Italiani, ha lanciato l’idea di indire una consultazione cittadina. Un referendum, sulla scia di quelli fatti negli scorsi anni ad Amburgo, Sankt Moritz, Monaco e Cracovia, dove il risultato delle urne ha portato al ritiro delle candidature, in alcuni casi per i Giochi invernali del 2022, in altri per quelli estivi del 2024. A Boston, invece, la corsa olimpica si è interrotta senza bisogno di arrivare al referendum, sull’onda delle pressioni del movimento “No Olympics”.
Forse all’estero non piacciono le Olimpiadi? No, il fascino della rassegna iridata resta intatto, ma in tempi di crisi economica globale ormai ben pochi sono disposti a scommettere su un evento che nelle ultime edizioni ha imposto costi elevatissimi a fronte di un ritorno di cassa inferiore alle aspettative. Numeri alla mano, le spese necessarie esplodono in media del 179% rispetto al preventivo iniziale.
Ovvero, a fronte di un budget di 5 miliardi di dollari, si può finire con lo spendere 17,5 miliardi. Un patrimonio. Basti pensare che l’edizione di Londra 2012, unanimemente riconosciuta come virtuosa sul versante organizzativo, è costata 8,7 miliardi di sterline a fronte di un budget iniziale di 2,4 miliardi.
E poi c’è il fenomeno che gli economisti hanno ribattezzato la “maledizione del vincitore”, ovvero la tendenza a sovrastimare i benefici attesi dai Giochi. I dati delle recenti rassegne olimpiche raccontano che, spesso, le città che se le sono aggiudicate sono sprofondate in situazioni economiche peggiori delle concorrenti. Un caso su tutti quello di Atene, dove i contribuenti greci fino al 2030 continueranno a pagare tasse maggiorate per sanare i debiti contratti dall’edizione 2004. Mentre Montréal e Grenoble hanno pagato imposte olimpiche rispettivamente per 30 e 24 anni.
A Roma solo una volta, negli anni Novanta, si è tenuto un referendum cittadino consultivo: in quel caso riguardava la privatizzazione della Centrale del Latte. Stavolta, dopo l’ammissione del quesito sulle Olimpiadi da parte del Campidoglio, i referendari sono pronti a partire con la raccolta firme nei prossimi giorni. Ne servono poco meno di 30 mila, pari all’1% della popolazione, e vanno raccolte entro tre mesi.
La domanda sulla carta è chiara: i cittadini sono “contrari alla candidatura di Roma alle Olimpiadi e Paralimpiadi 2024 espressa con una mozione dell’Assemblea Capitolina” del giugno 2015? La risposta che ne emergerà non è affatto indifferente.
Intanto la politica come si posiziona? Nonostante la lunga militanza radicale e la professione di fede referendaria, Roberto Giachetti, candidato sindaco Pd, non si mai speso per la consultazione. E anzi, di recente ha sentenziato: “Molto probabilmente il referendum ci sarà il 19 giugno (giorno del ballottaggio, ndr). Io dico sì alle Olimpiadi, la Raggi ritiene che siano criminali”.
Quanto alla candidata del Movimento 5 Stelle, interpellata sul referendum, per ora si è limitata a un generico: “Valuteremo, occorre pensare all’ordinario come trasporti, rifiuti, impianti sportivi e scuole che cadono a pezzi”. A incalzarla arriva subito Riccardo Magi, segretario di Radicali Italiani: “Ricordiamo alla Raggi che il referendum già c’è, lo abbiamo organizzato noi, valuti se appoggiarlo, glielo chiediamo non solo noi ma anche il 63% dei romani che, secondo un sondaggio, è favorevole alla consultazione”.