La Stampa, 9 giugno 2016
Che ci fa Manuel Agnelli tra i giudici di X Factor?
Che sia seduto tra i giudici di X Factor o al centro della scena con i suoi Afterhours, Manuel Agnelli è sempre Manuel Agnelli. Ovvero il leader di una delle rock band italiane più importante degli ultimi vent’anni, capace di superare le generazioni e che ancora oggi sa conquistare i ragazzi come faceva negli Anni Novanta.
Esce oggi il nuovo lavoro, Folfiri e Folfox, un disco doppio con 18 pezzi di sicuro impatto. I fan non resteranno delusi. Eppure, se si guarda indietro, Manuel non è così soddisfatto: «A causa degli eccessi abbiamo rovinato troppi concerti – ammette – con la scusa dello spirito punk non badavamo alla qualità. Io cantavo da schifo, eppure ci applaudivano lo stesso. Da qualche tempo abbiamo detto basta e siamo cresciuti».
Agnelli oggi ha cinquant’anni e, come si sente libero di criticare il passato suo e della band, così non ha avuto paura di accettare il ruolo di giudice di X Factor 10. Nell’inedita veste ha mosso i primi passi a Torino, in occasione delle audizioni: «Il feeling con gli altri giudici è ottimo. Nella prima mezz’ora ero di sale, gli altri invece erano così naturali con il pubblico. Un aiuto me lo ha dato Arisa, siamo vecchi amici, mi fa tanto ridere e ha una testa pazzesca. Siamo il diavolo e l’acqua santa, ma il diavolo è lei».
Alvaro Soler è stata una scoperta: «Non ho più bisogno di cercare i miei simili, conoscere persone diverse da me mi arricchisce. È una persona deliziosa e matura, nonostante la giovane età. Uno positivo, mi piace stargli vicino». Elogi non mancano nemmeno per Fedez: «Teste come la sua a quell’età non ne vedi molte. Ha il coraggio di esporsi, una dote che apprezzo». L’oggetto ignoto di questa edizione resta Manuel: «Sento l’ovazione del pubblico quando vengono presentati gli altri, ed è ben diversa dall’accoglienza riservata a me. Ma poi la gente ride quando sente le mie battute taglienti».
Coi concorrenti non è morbido: «Devono sapere che in questo mondo ti massacrano. Basta vedere l’accoglienza che ha ricevuto la notizia che avrei partecipato a XF». Critiche e insulti, ma Manuel ha tirato dritto: «Mi hanno riversato addosso un camion di letame, pazienza. Anzi, sai cosa? Questo disco farà tacere tutti».
Folfiri e Folfox è un album potente come un pugno nello stomaco: è nato in seguito alla morte del padre di Manuel, per tumore, a 77 anni, ma non è un disco di morte, parla di rinascita. Non c’è il rischio di creare un effetto un po’ straniante, tra la storia di dolore e le luci di XF?, gli chiediamo. «No, nel momento in cui scrivi un pezzo, sapendo cosa vuoi dire, ti liberi. Non ho scritto la canzone su mio padre per portare avanti il dolore, ma per liberarmi da esso. Sul palco, anche le canzoni tristi trasmettono energia positiva. Questo è un disco liberatorio e portarlo in giro mi dà positività. X Factor per me è quasi un segno. È tempo di cambiare vita. Voglio essere felice».
E allora che talent show sia: «Avere la possibilità di sparigliare le carte a cinquant’anni è una figata. Avevo remore sui talent perché fanno vedere che l’unico modo per fare musica è avere successo, io sono qui per mostrare un’altra strada. Credo che solo a XF si potessero permettere il rischio di mettere me lì, a fare me stesso».
Non cerca prodotti discografici: «Quando sento cose così, sbotto. Oh, io sono uno che non ha mai venduto un disco – dice sornione – ed eccomi a fare il giudice a XF». E allora cosa vedremo da settembre su Sky Uno? Giudizi taglienti e nessuno sconto, soprattutto ai cantautori: «Il cantautorato è stato per l’Italia una pestilenza». Non salva nessuno, «tranne De André che in alcuni pezzi è poesia e qualcosa di De Gregori, ma solo qualcosa, che ha fatto canzoni d’autore come avrei fatto io. Il cantautorato di oggi non mi interessa, è un modo piccolo borghese di raccontare i sentimenti senza correre rischi».