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 2016  giugno 09 Giovedì calendario

Di nuovo a Saint-Denis, giocando contro i fantasmi jihadisti

“Benvenuti nella strada dei bambini”. La scuola di rue Corbillon ha organizzato una festa di primavera con giochi e merende sull’asfalto, per tentare di cancellare il fantasma di Abdelhamid Abbaoud, la mente degli attentati parigini, venuto a nascondersi in una palazzina di fronte all’istituto elementare. All’alba del 18 novembre le forze speciali hanno sigillato la zona e condotto un assedio durato ore in cui sono stati uccisi Abbaoud, sua cugina Hasna e un terzo uomo. «I bambini hanno fatto disegni di guerra per giorni, abbiamo ancora gli psicologi in classe» racconta la direttrice di una delle scuole più multietniche di Francia.
In rue de la République, il corso del centro storico, sventolano le bandiere delle ventiquattro nazioni che partecipano a Euro 2016, tra negozi cinesi di cellulari, macellerie halal, parrucchieri africani. Lo Stade de France, a meno di un chilometro, accoglierà domani la prima partita dei campionati europei di calcio, con François Hollande seduto nella stessa tribuna del 13 novembre quando tre kamikaze si sono fatti esplodere fuori dalle porte. Non erano riusciti a entrare solo perché avevano dimenticato di comprare il biglietto. Questa volta, non si potrà contare su simili distrazioni. Lo stadio inaugurato con i Mondiali ’98 è circondato da una doppia recinzione di sicurezza e centinaia di poliziotti.
Didier Paillard non si atteggia a sceriffo. «La migliore difesa è la convivenza tra diverse comunità. Dobbiamo guardare avanti e sperare che Euro 2016 ci aiuti a voltare pagina» spiega il sindaco. Nel suo ufficio, mostra la riproduzione della coppa sollevata da Thuram, Zidane e gli altri giocatori della nazionale “black-blanc-beur”. Eppure la Francia meticcia e trionfante, capace di sconfiggere anche i propri demoni, sembra lontana. «Non siamo Molenbeek-sur-Seine» sottolinea Paillard, riprendendo un titolo del Figaro che ha paragonato la banlieue parigina a quella bruxellese: un vivaio di jihadisti. «I terroristi non erano residenti, hanno passato solo qualche ora in città». Per il vecchio dirigente comunista, che governa da dodici anni, la minaccia integralista non è più forte che in altre zone del paese. E la vera emergenza è sociale, un modello di integrazione che ha fallito.
Saint-Denis concentra le contraddizioni della Francia, poco più di centomila abitanti e 130 nazionalità. È la città più giovane del paese, quasi metà della popolazione ha meno di trent’anni, di cui un terzo disoccupato. La palazzina di tre piani dove si era nascosto Abbaoud è pericolante e sarà demolita: assomiglia a molte altre case popolari del centro. Lunedì notte cinque persone, tra cui una madre con i suoi tre figli, sono morte in un incendio. «Francamente – dice Paillard – il salafismo è un fenomeno minoritario che mi preoccupa meno della povertà in aumento nella classe media». Un atteggiamento che scandalizza molti responsabili socialisti, tra cui il deputato Malek Boutih, autore di un rapporto sui foreign fighters. «Il tentativo di minimizzare il pericolo islamico è inquietante» commenta Boutih anche se poi ammette che non ci sono giovani di Saint-Denis partiti per la Siria.
Nella piazza centrale si costeggiano la cattedrale in cui sono sepolti i Re di Francia, il mercato dove passeggiano molte donne velate, e l’ultimo grande municipio comunista del paese. A pochi metri, in rue Boulangerie, c’è la moschea Tawhid. Domani oltre tremila fedeli verranno a pregare mentre i riflettori si accenderanno su Euro 2016. Durante i Mondiali ’98, lo Stade de France è stato il simbolo di un rilancio urbanistico che non c’è stato. La zona della Plaine ha accolto sedi di grandi società, da Saint-Gobin a Orange, o di start up come Vente Privée, ma il centro storico è precipitato nel degrado. La gentrificazione non è avvenuta anche se ci sono teatri, cinema d’essai. «È una città dolce e brutale» ammette Clément Aumenier, responsabile comunicazione di Saint-Denis che quasi implora: «Diffidate dalle apparenze». Una ventina di intellettuali e attivisti hanno firmato una lettera aperta: «Saint-Denis è un laboratorio dove si costruisce la Francia di domani, in cui cittadini, credenti o no, sono accolti e convivono, malgrado i cliché, i pregiudizi».
Il romanziere Didier Daeninckx è meno tenero. «Non riconosco più la mia città» spiega l’autore di gialli nato a Saint-Denis 67 anni fa. «L’estremismo islamico è una realtà, bisogna aprire gli occhi» dice accusando l’amministrazione di “clientelismo”, colpevole di una sorta di patto di non belligeranza con i responsabili musulmani. Il comune ha dato il via libera per l’apertura di una nuova grande moschea. «Non so chi la gestisce, non me ne devo occupare» precisa il sindaco che mantiene la flemma a ogni domanda imbarazzante. Qualche mese fa un centro ebraico, la Maison du Habad, è stato attaccato da ignoti con molotov. Il rabbino Mendel Belinow cerca di sdrammatizzare, nonostante la comunità ebraica sia diminuita inesorabilmente dagli anni Ottanta. «Dialoghiamo con tutti, anche con gli amici musulmani. Quando ci incrociamo – racconta Belinow – mi dicono shabbat shalom e rispondo salam alaykum». La Maison Habad è sorvegliata dai militari. E ormai anche la cattedrale è protetta. Nella navata è sepolto Charles Martel, che nel 732 fermò l’invasione arabo-islamica nella battaglia di Poitiers. Il suo nome non compare sulle guide turistiche.