Corriere della Sera, 9 giugno 2016
Il Tradimento di Fabri Fibra, dieci anni dopo
«Abbiamo vinto noi». La modestia è l’ultima cosa che ci si aspetta da un rapper. Fabri Fibra riassume così gli ultimi 10 anni di musica italiana. E non è una sparata. Giugno 2006: Prodi è da poco presidente del Consiglio, la Nazionale sta per iniziare la sua avventura mondiale in Germania, Tradimento è il primo album hip hop ad arrivare al numero 1 in Italia. Da allora è stata un’infilata di rapper. «In Italia tutto era fermo e statico. Chi aveva un posto se lo teneva stretto senza dare spazio ad altri. Si pensava di poter controllare il successo. I social hanno mostrato che non c’era un solo pubblico e il rap ha reso moderno un panorama morto. E io non mi sono messo in fila per il successo», dice il rapper impegnato in un tour alla vigilia della pubblicazione di una versione speciale di Tradimento con l’album storico e una rivisitazione di alcuni brani con remix, collaborazioni e strofe inedite.
Se lo aspettava?
«Fu la tempesta perfetta, quella che arriva quando tutti gli elementi sono al posto giusto. Avevo lavorato sodo in passato. Avevo visto tante facce gridare i miei pezzi nei bar e nei centri sociali. Avevo le idee. Avevo un suono che non era più quello da cameretta dei due album da indipendente».
Aveva anche testi pesanti...
«Tiravo fuori un malessere di provincia, la separazione dei miei, l’essere fuori dai giochi... Non era un atteggiamento finto. Avevo sviluppato una cattiveria per affrontare i problemi della vita. L’ho pagata cara. Negli hotel a 4 stelle mi guardavano strano, come se non me lo meritassi».
Non erano eccessivi violenza e odio verso tutto e tutti?
«Prima o poi doveva arrivare anche da noi l’onda del politicamente scorretto. La politica era spettacolo, il calcio era truccato, lo scandalo dei preti pedofili... Cadevano i punti di riferimento degli italiani e io li dissacravo».
Nella musica il rap e nella politica qualche anno dopo Renzi?
«Lui twitta... Ma i problemi dell’Italia non sono quelli di cui si occupano i politici».
Usava parole offensive per gay e donne...
«Ho anticipato l’hating esploso nei social. Marlon Brando ha portato nel cinema la recitazione naturale: tutti dicevano che non fosse capace. Poi sono arrivati De Niro e Pacino. La gente credeva fossi aggressivo anche nella vita, così qualche anno dopo con “Tranne te” feci una cosa più rassicurante».
Il successo è stato una rivincita?
«Per un po’ sì, poi non ce l’ho più fatta. Non convivo bene con la fama: ti fa guadagnare molto però ti rovina la vita. Tutti sanno già chi sei e tu non conosci le storie di chi incontri. Il momento di smettere? Cobain non ce l’ha fatta. Jovanotti è fuggito in America. Grignani è uscito di testa».
I primi guadagni investiti?
«Andai in banca a chiedere un mutuo. La direttrice era sorpresa che fossi educato. Le dissi che anche lei in ufficio doveva essere più dura che a casa».
Come finì?
«Mi diede il mutuo».
Come si sente adesso?
«In pace e risolto. Ho 39 anni. Per i miei amici è arrivata la resa dei conti. E sono delusi. Erano convinti di avere delle ricompense dalla vita solo per essere arrivati a quell’età. Non capiscono perché io non sia così».
Lei se l’è spiegato?
«Nel 2003 mi licenziai per la paura di finire in un ufficio a vita. Passai un anno duro in Inghilterra, facevo lavori da immigrato, ma persi quelle finte convinzioni che arrivano dalla tv e dalla famiglia».
La prossima tempesta perfetta?
«Ce n’è una ogni 10 anni. Quella dopo l’ha presa Fedez».
Pace fatta dopo gli insulti?
«Dopo il mio rap aggressivo ci voleva qualcosa di innocuo. Comunque l’hip hop italiano è quasi sempre stato innocuo. Vedi J-Ax che è partito con la pubblicità della Fiat Uno (del 1992) ed è finito col Cornetto (lo spot con il duetto assieme a Fedez)».