Corriere della Sera, 9 giugno 2016
«Se mia madre fosse qui». Ecco il discorso della vittoria di Hillary
È meraviglioso essere di nuovo a Brooklyn, in questo splendido edificio. Stasera può essere difficile vederlo, ma in questo momento siamo tutti qui sotto un soffitto di vetro. Non preoccupatevi. Non lo stiamo distruggendo. Grazie a voi, abbiamo raggiunto una pietr a miliare. Per la prima volta nella storia della nostra nazione una donna sarà il candidato alle presidenziali di un grande partito.
Stasera la vittoria non riguarda solo una persona. Appartiene a generazioni di donne e uomini che hanno lottato e si sono sacrificati e hanno reso possibile questo momento. Nel nostro Paese, tutto è iniziato proprio qui a New York, in un luogo chiamato Seneca Falls, dove nel 1848 un gruppo di donne e uomini, piccolo ma determinato, si è riunito con l’idea che le donne meritino uguali diritti, e ha fatto una dichiarazione che è stata la prima del genere nella storia dell’umanità. Dobbiamo molto a chi ci ha preceduto, e questa notte appartiene a tutti voi.
Voglio congratularmi con il senatore Sanders per la sua straordinaria campagna... So che non è piacevole dedicarsi con tutto il cuore a una causa o a un candidato in cui si crede e restare delusi. Conosco bene quel sentimento. Ma, guardiamo avanti, ricordiamoci cosa so no gli Stati Uniti. Noi tutti vogliamo un’economia con più opportunità e meno ineguaglianze, dove Wall Street non sia più la strada principale...«Rendere l’America di nuovo grande», come dice Trump, significa in realtà riportarla indietro. Tornare a un tempo in cui opportunità e dignità erano riservate ad alcuni, non a tutti...
Siamo più forti con lavori ben pagati e buone scuole in ogni area del Paese, e un impegno reale verso tutte le famiglie e tutte le regioni della nostra nazione. Siamo più forti quando lavoriamo con i nostri alleati e siamo più forti quando ci rispettiamo, ci ascoltiamo e agiamo con uno scopo comune. Siamo forti quando ogni famiglia e ogni comunità sa di non essere sola. Perché siamo tutti partecipi. Ci vuole un villaggio per crescere un bambino. E per costruire un futuro più forte per tutti.
L’ho imparato molto tempo fa dalla persona che ha più influen zato la mia vita, mia madre. È stata una roccia, dal giorno in cui sono nata fino a quando ci ha lasciato. Ha superato un’infanzia segnata dall’abbandono e da maltrattamenti e in qualche modo è riuscita a non amareggiarsi o farsi abbattere. Mia madre credeva che il senso della vita fosse quello di essere utile agli altri. Mi ha insegnato a non indietreggiare davanti ai bulli, e questo si è rivelato un ottimo consiglio. Sabato scorso sarebbe stato il suo novantasettesimo compleanno. Era nata il 4 giugno 1919, e alcuni di voi conosceranno il significato di quella data. Il giorno in cui mia madre nasceva a Chicago, il Congresso approvava il 19° emendamento della Costituzione. Quell’emendamento dava il diritto di voto alle donne. Vorrei che mia madre fosse qui stasera. Vorrei che potesse vedere che madre meravigliosa è diventata Chelsea e che potesse conoscere la nostra bella nipotina Charlotte e, naturalmente, vorrei che potesse vedere sua figlia diventare il candidato alla presidenza del Partito democratico.
Ebbene sì. Ci sono ancora barriere da abbattere per le donne e per gli uomini e per tutti noi. Ma non lasciate che qualcuno vi dica che in America non possono accadere grandi cose. Le barriere possono cadere. La giustizia e l’uguaglianza possono vincere. La nostra storia si muove in questa direzione, grazie a generazioni di americani che rifiutano di rinunciare o indietreggiare. Ora state scrivendo un nuovo capitolo di quella storia. Il senso di questa campagna è fare in modo che non ci siano soffitti, limiti per nessuno di noi... La fine delle primarie è solo l’inizio del lavoro che siamo chiamati a fare. Ma se staremo insieme, saliremo insieme. Perché insieme siamo più forti. Usciamo e portiamo questi messaggi all’America. Grazie. Dio vi benedica e benedica l’America!
(Traduzione di Maria Sepa)