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 2016  giugno 09 Giovedì calendario

Ancora una battuta razzista di Donald Trump

Dopo aver faticosamente ricucito il rapporto con un candidato che sta devastando il suo partito, il leader dei repubblicani al Congresso, Paul Ryan, è costretto a definire la sortita dei Donald Trump contro il giudice Gonzalo Curiel un caso da manuale di dichiarazione di stampo razzista. Gli fa eco il presidente dei senatori conservatori, Mitch McConnell, per il quale le parole del miliardario sono radicalmente errate, inaccettabili, offensive. E Mark Kirk è il primo senatore repubblicano che cancella il suo «endorsement» formulando nei confronti di Trump accuse non meno dure di quelle mosse dai democratici: «Ho passato la vita a costruire ponti e ad abbattere barriere. Non accetto la logica dei muri e considero chi ritiene un giudice di origini messicane incapace di condurre in modo imparziale un processo negli Stati Uniti, non solo è nel torto, ma anche non americano, cioè contrario a tutti i valori fondanti del nostro Paese». Kirk è andato sul personale: «Trump non ha il temperamento, il carattere per guidare l’America. In base alla mia esperienza militare ritengo che non gli si possa affidare il comando delle forze armate Usa, arsenale nucleare compreso: a novembre non lo voterò. Sulla scheda metterò il nome del generale David Petraeus». Davanti alla valanga (duri anche i suoi seguaci Gingrich e Corker), ieri Trump ha tentato una parziale correzione di rotta. Ha detto che è stato male interpretato, al solito ha dato la colpa alla stampa, ma non ha ritirato le accuse al magistrato del processo civile sulla Trump University: «Sono stato frainteso: non credo che l’origine di un magistrato lo renda incapace di giudicare in modo imparziale. Ma il trattamento che ho ricevuto nel caso della mia università mi fa dire che Curiel si è comportato con me in modo scorretto». Durante la campagna Trump ne ha dette e fatte tante, insultando i suoi avversari, mancando di rispetto alle donne e ai disabili, discriminando la stampa (compresi organi di destra), sparando accuse e insinuazioni a raffica, minacciando. Non ha mai pagato dazio e ha sempre tirato dritto. Stavolta le cose sembrano andare in modo diverso: una correzione di rotta tardiva e parziale non gli consente di archiviare anche questo caso per la sua gravità e anche per il modo nel quale Trump aveva precedentemente attaccato il giudice Curiel. Dopo la prima sortita del candidato populista, i suoi addetti stampa erano scesi in campo per attenuare l’impatto delle sue dichiarazioni, avendone percepito la gravità. Ma un Trump furibondo li ha zittiti e ha ribadito le accuse in una dettagliata intervista alla Cnn nella quale, al giornalista che notava come Curiel sia «americanissimo, è nato in Indiana», ha ribattuto decine di volte chiamando il magistrato «messicano» e sostenendo che avrebbe dovuto autoescludersi dal processo visto che l’imputato vuole costruire un muro alla frontiera col Messico. L’incubo repubblicano continua, con Ryan sempre più prigioniero di Trump: vorrebbe discutere di libertà economiche e condizioni sociali dell’America, invece è costretto a difendersi sul razzismo. E Trump che minaccia per lunedì rivelazioni sulla famiglia Clinton accentua i timori per una campagna che può sprofondare nel fango.