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 2016  giugno 09 Giovedì calendario

Rosarno, il paese in provincia di Reggio Calabria dove ieri un carabiniere ha ammazzato un ragazzo del Mali, è famoso per la ’ndrangheta, per gli africani che raccolgono le arance, i mandarini e le olive, per il fatto che i rosarnesi gli sparano o li prendono a sprangate e perché un paio di volte (l’ultima nel 2010) gli africani si sono ribellati, giravano a loro volta con le spranghe e addirittura hanno manifestato contro la ’ndrangheta, cosa che gli italiani non sono più capaci di fare, come scrivono sempre i giornalisti il giorno dopo

Rosarno, il paese in provincia di Reggio Calabria dove ieri un carabiniere ha ammazzato un ragazzo del Mali, è famoso per la ’ndrangheta, per gli africani che raccolgono le arance, i mandarini e le olive, per il fatto che i rosarnesi gli sparano o li prendono a sprangate e perché un paio di volte (l’ultima nel 2010) gli africani si sono ribellati, giravano a loro volta con le spranghe e addirittura hanno manifestato contro la ’ndrangheta, cosa che gli italiani non sono più capaci di fare, come scrivono sempre i giornalisti il giorno dopo. Aggiungiamo che ogni volta la cronaca documenta che le condizioni in cui i migranti sono costretti a vivere nel periodo della raccolta sono semplicemente infami. Questa, in due parole, è la cornice in cui s’è consumata, ieri, l’ennesima tragedia.

• Che aveva fatto questo ragazzo del Mali? Come mai il carabiniere ha sparato?
Secondo la versione ufficiale, il ragazzo è saltato addosso al carabiniere e gli ha dato tre coltellate in faccia. Il carabiniere, sempre secondo la versione ufficiale, non avrebbe sparato di sua volontà, ma un colpo sarebbe partito accidentalmente. C’è il fatto però che i carabinieri dicono praticamente sempre, in casi come questi, che il colpo è partito accidentalmente. Il carabiniere non corre in nessun caso alcun pericolo, perché il procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza, ha già detto che si tratta di legittima difesa: «Il carabiniere dovrà essere iscritto nel registro degli indagati, ma il quadro che si delinea è di una legittima difesa da parte del militare». Questo militare è l’appuntato Antonino Catalano, su cui per il momento non abbiamo informazioni. La vittima si chiamava Sekine Traore e aveva 26 anni.  

Ci sarà una ragione se Traore è saltato addosso al carabiniere.
La ricostruzione dei fatti non è ancora del tutto chiara. Nella tendopoli di San Ferdinando, a sei chilometri dal centro di Rosarno, qualcuno ha allestito un bar, qualcun altro porta le bibite o i panini, si tratta in pratica dell’unico punto di ritrovo dell’accampamento dove ufficialmente vivono in 400, ma dove più probabilmente stanno in un migliaio. In questo bar o spaccio, poco prima di mezzogiorno, è scoppiata una lite tra due ragazzi del Mali, forse perché uno ha tentato di derubare l’altro o forse perché uno dei due ha chiesto una sigaretta e quell’altro non gliel’ha data o forse per qualche ragione più profonda e più complicata, che per il momento non sappiamo. Fatto sta che sono stati chiamati i carabinieri. Ne sono arrivati due, hanno cercato di mettere pace, non ci sono riusciti, hanno chiesto rinforzi e Traore quando ha visto tutti quegli uomini armati avrebbe perso la testa e sarebbe saltato addosso all’appuntato Catalano, tirandogli tre coltellate in faccia (guaribile in cinque giorni). Catalano ha sparato, Traore è morto sul colpo, i carabinieri hanno poi dovuto calmare gli animi che, naturalmente, in quel contesto, si stavano agitando. Ci sono un altro paio di carabinieri feriti non gravemente.  

La tendopoli si riempie solo in certi periodi, vero?, cioè quando c’è da spezzarsi la schiena per i raccolti nella piana di Gioia Tauro.
Sì, e le condizioni di vita che vengono offerte a questi disgraziati, nella tendopoli di San Ferdinando o nel campo-container di Rosarno, sono vergognose. C’è stato un periodo in cui mancava del tutto anche l’elettricità, offerta poi gratuitamente dalla parrocchia e dalla provincia. Dànno una mano quelli di Emergency, che hanno un ambulatorio a Polistena, a 15 chilometri di distanza. La coordinatrice di questo ambulatorio, Alessia Mancuso Trizitano, dice: «Oggi siamo noi che con alcuni pullmini a 9 posti andiamo a raccogliere queste persone per portarle qui nel presidio sanitario di Polistena, gestito da Libera e dalla Cooperativa Valle del Marro, oltre che dalla Fondazione "Cuore si scioglie" di Unicoop Firenze, che si trova in un edificio sequestrato alla ‘ndrangheta e che solo a maggio s’è preso cura di oltre 500 pazienti, quasi tutti lavoratori immigrati. La raccolta degli agrumi è terminata, ma qui molti, e in numero maggiore rispetto agli anni scorsi, tendono a rimanere».  

Cioè, non c’è nessuna autorità pubblica che si occupa del campo? Magari un’associazione di volontari?
Nessuno. Comune e Regione dicono di non avere i soldi per pagare assistenza, sorveglianza e quant’altro. Ci sono i volontari, come ovunque, ma non bastano. Il sindaco reclama assunzioni, ma non ci sono fondi.  

Dev’esserci una qualche organizzazione che prende questi disgraziati e li manda a lavorare nei campi.
I caporali, come sempre. Che pagano mezzo euro per ogni cassetta di aranci e un euro per ogni cassetta di mandarini. Lavorando una dozzina di ore, si tirano su 25 euro, meno tre euro che bisogna lasciare all’africano che porta in macchina i migranti sul posto. Naturalmente lavorano tutti in nero. Francesco Carchedi, sociologo di Tor Sapienza a Roma, in uno studio diffuso la scorsa estate, ha reso noto che almeno il 10 per cento delle imprese agricole impiega, in tutta Italia, manodopera in nero, il che non significa clandestina (il 95% degli immigrati di Rosarno sono in regola). 400 mila persone in tutto, di cui l’80 per cento straniere. Le perdite per lo Stato si aggirano intorno ai 9 miliardi di euro l’anno.