Il Sole 24 Ore, 8 giugno 2016
Più aumentano le violenze tra il governo turco e il Pkk e più l’Ue si allontana. Sembra una storia che non finirà mai
C’è il rischio di un circolo vizioso nell’escalation di violenze tra governo turco e separatisti curdi del Pkk e del gruppo scissionista, il Kurdistan Freedom Falcons (Tak). Per arrivare all’obiettivo politico della repubblica presidenziale in salsa ottomana, il presidente Recep Tayyip Erdogan da un anno a questa parte, ha rispolverato i toni più accesi della retorica nazionalista, messo in soffitta la fragile tregua con i separatisti curdi e riaperto un sanguinoso conflitto che ha provocato 45mila morti dal 1980. Tutto questo per erodere consensi all’Mhp, il partito nazionalista del professore Devlet Bacheli, l’uomo politico che ha saputo mettere il doppio petto grigio alla formazione dei Lupi grigi dove militava anche Ali Agca, l’attentatore di Papa Wojtyla.
L’operazione politica sta riuscendo all’Akp, il partito di maggioranza di Erdogan, ma c’è il rischio di incrinare i legami con l’Unione europea. L’esercito turco ha attuato una dura repressione nelle zone del Sud-Est del Paese coinvolgendo anche i maggiori centri abitati. Gli abitanti di Cisre o Diyarbak?r hanno subito il coprifuoco, a volte la richiesta di abbandonare le proprie case, e in altre occasioni hanno assistito ad assalti alle abitazioni. Intere aree di alcuni quartieri sono state trasformati in zone di guerra. Di fronte al pugno duro di Ankara, i separatisti del Pkk e dei Falconi, che hanno visto cadere alcuni dei loro compagni o parenti, hanno portato gli attacchi nelle città più popolose della Turchia, come Istanbul e Ankara.
In sostanza dalla scorsa estate, l’offensiva dell’esercito turco contro il Pkk nelle regioni curde del Sud-Est ha causato centinaia di morti su entrambi i fronti e decine di migliaia di sfollati, mentre nessuno parla più di negoziati (compresi uno sparuto gruppo di accademici che sono stati licenziati e perseguitati per aver chiesto di riaprire un tavolo delle trattative). Ankara promette di fermarsi solo dopo la «totale eliminazione» del Pkk. A un anno esatto dallo storico successo elettorale del partito filo-curdo Hdp, il primo a entrare nel Parlamento di Ankara, la situazione è precipitata. Un conflitto che potrebbe radicalizzarsi ulteriormente con la marginalizzazione
dei deputati curdi, molti dei quali rischiano l’arresto con l’accusa di complicità con il Pkk, dopo la controversa revoca dell’immunità per quelli sotto inchiesta.
Alla Turchia è giunta la solidarietà internazionale, con l’Ue che «riafferma l’impegno a lavorare strettamente insieme per combattere la minaccia globale del terrorismo», chiedendo però la modifica della legge antiterrorismo. Una richiesta che tuttavia sembra sempre più destinata a rimanere lettera morta.
L’attacco di ieri rischia di avere pesanti ricadute anche sul turismo, settore chiave dell’economia turca, già in ginocchio dopo la raffica di attentati degli ultimi mesi. Ad aprile, gli arrivi dall’estero erano già crollati del 28%, complice anche la crisi con la Russia: la più grande fuga di stranieri degli ultimi 17 anni. Erdogan probabilmente raggiungerà il suo scopo di una repubblica presidenziale, ma rischia di ritrovarsi un Paese profondamente polarizzato e destabilizzato. Con un ’Europa sempre più lontana.