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 2016  giugno 08 Mercoledì calendario

Anche la pasta asciutta è in crisi

Per la pasta italiana è crisi. Dopo la dieta prolungata del mercato domestico è arrivato lo scivolone dell’export: nel 2015 i volumi esportati sono calati del 5,8% sotto i 2 milioni di tonnellate mentre è cresciuto il valore del 6,5% a 2,1 miliardi di euro. Il campanello d’allarme è squillato anche nel primo bimestre di quest’anno: – 6,2% a volume e – 7,5% a valore. 
Sul fronte interno le vendite di pasta nel canale moderno (compreso i discount) sono, secondo Iri, in calo da diversi anni: nel 2014 ha registrato, a volume, è -3,3% (-3,4% a valore), nel 2015 ha replicato -3,3% (+1,9% a valore) e nei primi quattro mesi del 2016 -2,8% (-1,5% a valore). Il prezzo medio della pasta di semola è salito da 1,25 a 1,32 euro al kg l’anno scorso e a 1,41 nel primo quadrimestre 2016. Molto meglio le paste integrali, di kamut e le speciali, che crescono a due cifre, ma pesano appena il 10% su vendite vicino al miliardo. 
«I dati – osserva Riccardo Felicetti, presidente dei pastai di Aidepi -risentono della competizione internazionale ma anche di alcuni nodi di filiera. L’Italia non può limitarsi a migliorare le condizioni commerciali: stabilire, per esempio, come dev’essere la pasta italiana. Di queste cose stiamo discutendo in associazione ma non posso anticiparle». Si tratterebbe di definire alcuni parametri qualitativi e produttivi del made in Italy: con prezzi più elevati in un comparto in cui un prodotto “povero” è soggetto a costi di trasporto elevati. Diverso il discorso per i produttori (come Barilla, De Cecco, Colussi, Rana) che hanno delocalizzato pezzi di produzione in mercati specifici. E nel 2016? «Secondo i nostri dati – assicura Felicetti – nei primi cinque mesi l’export ha ripreso quota. E anche negli Stati Uniti, dopo la carbofobia, la pasta è rientrata nelle diete equilibrate». 
«La crisi del nostro export – interviene il presidente di Pasta Zara, Furio Bragagnolo – nasce dalla concorrenza sleale della Turchia: acquistano il grano a buon mercato in importazione temporanea, vendono nel loro Paese i sottoprodotti a prezzi vantaggiosi e finanziano il dumping della pasta». Pasta Zara però continua ad avanzare all’estero (92%): «Nei primi mesi dell’anno cresciamo del 3% ma spero di fare meglio, nonostante la crisi della Russia e del Venezuela. In particolare, la Russia è un mercato perso dopo che alcuni player italiani hanno delocalizzato». 
All’estero però c’è anche chi mette radici. «Stiamo per firmare – dichiara Giuseppe Ferro, ad di La Molisana – alcuni accordi di fornitura con primari gruppi distributivi americani (forse Walmart ndr) ed europei: in Germania, Danimarca a Russia. Nel 2018 dovremmo superare i 200 milioni di fatturato». 
Ma come spiegare lo scivolamento del mercato italiano? «Cambia lo stile alimentare – interviene Cosimo Rummo, dell’omonimo pastificio – ma soprattutto le famiglie hanno imparato a sprecare molto meno». 
Per Alessia Fraulino, di Iri, «è in atto una ricomposizione del carrello: meno pasta di semola e più integrale, kamut, cous cous, quinoa. Nonostante queste innovazione il consumatore percepisce la pasta sullo scaffale come un prodotto vecchio. Per crescere bisogna innovare di più».