La Stampa, 8 giugno 2016
Com’è possibile che un’altra bella venticinquenne italiana abbia deciso di abbracciare lo Stato IslamicoP La storia di Sara P., fermata ieri mattina dalla polizia. Appena in tempo
Il vero mistero in questa storia, è capire come sia stato possibile che una bella ragazza di 25 anni, nata e cresciuta in un angolo di paradiso tra le dolci colline e le vigne di Franciacorta, abbia deciso a un certo punto di abbracciare l’estremismo islamico fino a programmare di partire per entrare, forse, in qualche formazione jihadista.
La storia di Sara P., fermata ieri mattina dalla polizia e indagata dalla procura di Brescia per «arruolamento con finalità di terrorismo», è un po’ diversa da quella delle altre ragazze nate in Europa e diventate “foreign fighter” di un Califfato di tagliatori di teste.
Il mistero
Non c’è povertà alle spalle di questa giovane dai capelli corvini, descritta in paese come «bellissima», figlia di un piccolo imprenditore di origine calabrese di profilati e serramenti, da ieri barricato nella villetta bifamiliare, disperato. E nemmeno ignoranza, anche se Sara aveva cominciato a rinchiudersi in casa un po’ di anni fa, dopo una bocciatura alla superiori, decidendo che l’università non avrebbe fatto per lei. Al massimo, qualche lavoretto saltuario in una panetteria. La verità è che, forse, dietro tutto ciò c’è una storia di tensioni famigliari, di fallimenti personali e di voglia di evadere da una realtà tanto bella in apparenza quanto (probabilmente) soffocante.
La scelta
Sara aveva cominciato a indossare il niqab poco più di un anno fa, al ritorno di un viaggio in Tunisia con il marito Shalada, conosciuto in paese, sposato nel 2010 con rito musulmano e un anno e mezzo fa con quello civile. I vicini si erano quasi spaventati vedendola uscire improvvisamente ricoperta di velo nero da capo a piedi: la dolce Sara, la ragazza che giocava con i loro figli, che andava all’oratorio, che si truccava e indossava jeans attillati, era diventata diversa, più chiusa, incomprensibile.
La coppia, senza figli, si era sistemata nella villetta bifamiliare che accoglie i visitatori con un bel «attenti al cane e anche al padrone». Una casetta circondata da vigneti e prati con rose. Lui, operaio, all’inizio, usciva ogni mattina per andare a lavorare. Lei lo aspettava in casa, imparando l’arabo e iniziando a seguire, in internet, le prediche di un teologo del radicalismo islamico. Shalada a un certo punto aveva perso il lavoro e in casa il clima si era fatto pesante. Il padre di Sara, sei mesi fa lo aveva cacciato. Il giovane si era ridotto a vivere di stenti in qualche casa occupata. Alla sera però, lui e Sara si ritrovavano di nascosto in uno dei due capannoni per i profilati dell’azienda paterna e cenavano per terra. Una guerra contro i genitori più che contro l’Europa. Ma pericolosa.
Sara aveva iniziato a postare su Facebook frasi un po’ deliranti: «Oh Allah, ti chiedo una morte nel tuo sentiero…». Invocando il Paradiso per lei e il marito. Lui rispondeva: «Dio, dai la tua gloria di Mujahedin sul tuo sentiero e falli vincitori sulla terra». Shalada aveva chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno per poter partire, sostengono gli inquirenti. Così quando l’altra mattina lo hanno chiamato alla questura di Brescia per notificargli l’espulsione, non ha sospettato nulla. Sara era così felice che ha scritto su Facebook che avevano bisogno di un’auto di grossa cilindrata. Li hanno fermati appena in tempo.