Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 08 Mercoledì calendario

A Platì la rinascita democratica è durata un giorno. La minoranza si è già dimessa

Così, a Platì, casa e rifugio della famiglie legate alla ’ndrangheta – Barbaro, Papalia, Sergi – la rinascita democratica è durata un giorno. Dopo cinque anni di commissario prefettizio il Comune è tornato al voto, ha eletto un sindaco e persino una minoranza, che però a 24 ore di distanza dalla chiusura delle urne, si è dimessa in blocco, facendo in sostanza di Rosario Sergi, neo eletto primo cittadino, il monarca di un Paese che da questo istante è completamente una cosa sua. «I miei valori e i miei principi sono diversi dai suoi e rimanere in consiglio comunale vorrebbe dire votare sempre no. Dunque è inutile e me ne vado», ha detto Ilaria Mittiga, figlia di Francesco, discusso ex sindaco del paese e ispiratore della lista «Platì Res Publica» guidata proprio da Ilaria. Laureata, dipendente della Regione, 37 anni, la giovane Mittiga ha dunque deciso di tornare all’antico lavoro, presumibilmente convinta che la nuova amministrazione avrà vita breve. Improvvisamente sicura di non avere nulla da spartire con Rosario Sergi, un signore che secondo gli atti della commissione Antimafia «ha rapporti di affinità con esponenti di vertice della cosca Barbaro, tanto con la frangia denominata Castanu quanto con quella denominata Nigru». Rapporti di affinità, che consentono a Sergi di dichiarare: «La responsabilità penale è personale. Non lo dico io, lo dice l’articolo 27 della Costituzione. L’impegno della mia amministrazione per la legalità e contro la mafia è ovvio ed è superfluo che lo sottolinei». Talmente superfluo che né lui né lei pronunciano la parola «’ndrangheta», come se non esistesse, come se non fosse di lì, come se non fosse quello il punto. Lo Stato perde, di sicuro Platì non vince. Non vince mai. «Il concetto di democrazia di Mittiga e dei suoi amici mi fa sorridere. Avrebbe accettato di entrare in Consiglio soltanto se avesse fatto il sindaco. Così non ci sarebbero neppure in Parlamento una maggioranza e una opposizione». E almeno su questo Sergi non ha torto. Quello che dimentica di dire è che senza la Mittiga e la sua bizzarra idea di democrazia nemmeno lui sarebbe al suo posto. Ha preso milleduecento voti e la Mittiga più di settecento. Significa che è andato a votare poco più del 50% degli aventi diritto. E il 50% è la soglia esatta di cui ha bisogno una lista che si presenta senza avversari in un piccolo comune per potere esprimere il sindaco. In soldoni: senza la Mittiga, Sergi non sarebbe sindaco e a Platì sarebbe tornato il commissario. Perciò la domanda rimane: Ilaria Mittiga sta dicendo che Sergi è troppo compromesso per lavorare con lui o se ne sta andando dopo avere dato alla nave del supposto avversario la possibilità di entrata in porto? «Queste elezioni sono una farsa. Il comune sarà sciolto», dice Anna Rita Leonardi, candidata mancata del Pd. Ma anche la politica, dal suo partito in giù, in questa storia fa una figura ridicola. E allora tornano in mente le parole di Cafiero De Raho, procuratore capo della Repubblica a Reggio Calabria: «Votare a Platì serve a poco. Quello che serve è un funzionario dello Stato che cerchi di garantire la legalità in un comune in cui anche le forze dell’ordine sono accerchiate dai criminali».