Corrier della Sera, 8 giugno 2016
Il caso Lippi e il regolamento che condanna per principio
Sarebbe sbagliato impedire a Lippi di fare il suo nuovo lavoro perché ha un figlio procuratore nel calcio. So che c’è un regolamento che lo vieta, ma la norma è così vasta, così totale, da diventare una condanna di principio. Non tutela gli innocenti, costringe tutti a non fare per paura siano delinquenti. L’idea è che un c.t. possa convocare giocatori che hanno solo il merito di essere in carico al figlio. Ma se avviene è un reato penale, se non avviene si sbatte lo stesso contro la norma preventiva, come ci si proteggesse dalla legge. Siamo molto vicini alla discriminazione. Nel particolare, Lippi non è un c.t., non ha tra i suoi compiti quello di selezionare, quello spetta a Ventura, a Di Biagio, a qualunque altro tecnico delle Nazionali. Il suo compito è coordinare l’attività di tutti, non mandare in campo una formazione né fare una lista di convocati. Il risultato che si ottiene è molto vicino a dargli del disonesto in partenza, lo si caccia per evitargli una tentazione. Non è giusto. So che la norma non nasce a caso, ma ci sono regole che non sono giuste di per se stesse, hanno respiro solo nel momento della paura. Occorre sorvegliare, ma non condannare per principio. Qui si azzera, si muore, per abolire il rischio di vivere. Che c.t. avremmo se fossero tutti disponibili a convocazioni sporche? A loro basterebbe dire no a un nome per scoprire il gioco. Molto più semplicemente il procuratore è un mestiere come un altro, legale e permesso anche dalla Federcalcio. Quello di coordinatore delle Nazionali anche. Perfino essere padri e figli è un mestiere usato, ci sono zone importanti del Paese in cui vige una legittima, insistente, ereditarietà di ruoli. Qual è allora il problema? Credo che questo infortunio su Lippi sia il più grave della gestione Tavecchio perché accade su diritti reali delle persone. La speranza è che si chiuda in fretta.