Corriere della Sera, 8 giugno 2016
Il merito di Gazebo è quello di svelare la fragilità della politica
Ci sono trasmissioni che aiutano a capirne altre, non si sa quanto volontariamente. Mentre assistevo allo speciale di «Gazebo» dedicato alle elezioni amministrative, mentre Enrico Duracell Mentana faceva capolino anche da queste parti, mentre, onestamente, il programma pareva un po’ stiracchiato e ripetitivo, ho avuto una specie di illuminazione (Raitre, lunedì, 21,10).
Ma certo, «Gazebo» è la continuazione, meglio, il prequel, di «Dov’è Mario». Non ci sono dubbi: Andrea Salerno è Mario Bambea (pensateci bene, ne ha tutte le caratteristiche, stesso percorso intellettuale) e Diego Bianchi è Bizio Capoccetti. È vero che i ruoli sono intercambiabili e frammischiabili, ma dopo l’intuizione il programma è filato via liscio, dalla lunga anteprima (fatta apposta perché si capisse il prequel) fino a «Il trono di schede». Nell’ottica Bambea-Capoccetti ogni scena ha guadagnato senso. Marco Damilano (era sfinito, poveretto, per la maratona tv) confonde la teoria dei quattro elementi naturali (fuoco, aria, acqua, terra) di Empedocle con i segni zodiacali; le astringenti osservazioni di Francesca Schianchi; l’analisi alla moviola dei comizi dei vari partiti (memorabili l’intervento di Berlusconi a favore di «Arfio» Marchini!) e delle molte fesserie che si dicono in campagna elettorale; il «Tg bello» di Mirko Matteucci, in arte e in taxi Missouri 4, il tutorial di Roberto Saviano nello studio dove si registrano i pacchi (gli interventi di Zoro hanno fatto in modo che il predicozzo di Saviano assumesse i toni della parodia). Naturalmente il momento più divertente rimane sempre la «Social Top Ten», la rassegna commentata dei tweet più significativi, la messa a nudo del tragicomico e dell’autoreferenzialità della retorica politica.
Come «Gazebo» svela in maniera sottile e allusiva la fragilità della politica, così Bambea-Capoccetti mandano segnali a «Gazebo» perché ritrovi vitalità e rifugga dall’autocompiacimento.