Corriere della Sera, 8 giugno 2016
Brexit e la sterlina sempre più debole. In Inghilterra regna l’incertezza
Con l’avvicinarsi del referendum sulla Brexit i mercati finanziari sono entrati in fibrillazione. Dall’autunno dello scorso anno, la sterlina inglese si è deprezzata di circa il 15% nei confronti dell’euro, indebolendosi ogni qual volta i sondaggi danno i «Leave» in vantaggio sui «Remain». Le dichiarazioni della Banca d’Inghilterra – di essere pronta a fornire tutta la liquidità necessaria per evitare una volatilità eccessiva della moneta inglese – hanno solo in parte alleviato le tensioni. A preoccupare gli investitori non è solo l’incertezza economica, ma anche quella politica, poiché una sconfitta della proposta governativa – e forse anche una vittoria risicata – potrebbero provocare le dimissioni del premier Cameron e la spaccatura del partito conservatore.
Si sa che i referendum tendono ad innervosire i mercati internazionali. Basta ricordare quello indetto da François Mitterrand nel settembre 1992 per ratificare il Trattato di Maastricht. Con l’avvicinarsi della scadenza, gli investitori – e l’opinione pubblica in generale – si resero progressivamente conto che in gioco non era solo il trattato sulla moneta unica ma anche, e soprattutto, la sopravvivenza del governo francese e del sistema monetario europeo, sorretto principalmente dall’asse franco-tedesco. Le stesse autorità politiche cercarono di avvalorare questa tesi, pensando che la drammatizzazione avrebbe mobilitato l’opinione pubblica a loro favore. In realtà, non faceva altro che alimentare le preoccupazioni dei risparmiatori.
Per chi deve prendere decisioni di investimento, le scadenze politiche che possono comportare cambiamenti di regime – ad esempio di governo – spingono generalmente ad adottare maggior prudenza e a ridurre con largo anticipo le posizioni più rischiose, a favore di attività finanziarie liquide e più sicure, anche se con rendimenti piu bassi.
È proprio quello che accadde nell’estate del 1992, quando gli investitori internazionali, italiani inclusi, cominciarono a vendere i titoli a rischio più elevato – in particolare quelli denominati in sterline, lire e pesete spagnole – determinando un aumento dei rendimenti su quelle valute e spingendo le autorità monetarie a ingenti interventi con le proprie riserve di cambio. L’incertezza su ciò che sarebbe successo dopo il referendum del 20 settembre 1992 alimentò la fuoriuscita di capitali dai Paesi piu deboli, che diventò irrefrenabile. La sterlina e la lira dovettero svalutare e poi uscire dal sistema monetario europeo qualche giorno prima del referendum.
I tempi, certo, sono cambiati. L’adozione dell’euro ha cambiato lo scenario di riferimento e le crisi valutarie di quegli anni non sono più immaginabili. Tuttavia, l’esperienza del 2011-12 mostra che anche in un’area valutaria integrata le incertezze politiche, connesse a situazioni di fragilità delle finanze pubbliche, possono indurre repentini disinvestimenti dai Paesi considerati più deboli, e riverberarsi in modo imprevedibile sull’economia reale e sullo scenario politico.
L’azione della Bce ha in parte ridotto il rischio di tale instabilità, attraverso l’impegno ad intervenire in via illimitata per evitare che un Paese esca dall’euro (previa richiesta di assistenza finanziaria alla cosiddetta troika) e, più recentemente, con la politica di acquisti di titoli pubblici e privati, il Quantitative easing.
Una volta passato il referendum inglese, i mercati finanziari potrebbero tuttavia cominciare a focalizzarsi sugli sviluppi economici e sulle scadenze politiche della seconda parte dell’anno, e riconsiderare la loro propensione al rischio. Tra i vari fattori di incertezza si possono anticipare già le elezioni presidenziali americane, le primarie per le Presidenziali francesi che si terranno poi nel 2017, le scelte di politica monetaria, in particolare riguardo al Quantitative easing della Bce, previsto durare fino al marzo 2017. In un tale contesto, non e’ da escludere che gli investitori inizino a guardare con una certa attenzione anche al referendum costituzionale italiano dell’ottobre prossimo, e a valutare la possibilità che un esito negativo provochi ripercussioni rilevanti sull’assetto di governo e sulle politiche – in particolare di riforma e di finanza pubblica – che devono essere messe in atto. L’evoluzione degli ultimi giorni suggerisce che questo rischio non può essere sottovalutato.