MilanoFinanza, 8 giugno 2016
L’Arabia Saudita oltre il petrolio, ecco il piano
Arrivano i primi dati dell’ambizioso programma Vision 2030, la riforma dell’economia dell’Arabia Saudita per renderla meno dipendente dal petrolio. Ieri a Jeddah è stato presentato il National Trasformation Program 2016-2020 (Ntp). Il piano si è reso necessario dopo il crollo dei prezzi del greggio negli ultimi 18 mesi (peraltro conseguenza della politica saudita). Il petrolio rappresenta per Ryad il 70% delle entrate statali e il 44,2% del pil complessivo. Il 2015, anno di record negativi per il greggio, ha visto il deficit saudita arrivare a 98 miliardi di dollari. Non stupisce che il principe della corona Mohammed bin Salman stia cercando di modernizzare l’economia del Paese. Il Consiglio per l’Economia e lo Sviluppo, autore del piano, è guidato proprio dal principe ereditario.
I settori interessati e gli interventi previsti dal piano sono oltre 500. Da un lato il governo punta a triplicare entro il 2020 le entrate annuali non petrolifere a circa 140 miliardi di dollari, dall’altro si cercherà di tagliare i costi e in particolare gli enormi sussidi su acqua, carburanti ed elettricità (circa 50 miliardi di risparmio l’anno). La fetta di spesa destinata ai salari dovrebbe diminuire dal 45 al 40%: due terzi dei lavoratori sauditi sono statali. Il piano prevede la creazione di 450 mila posti di lavoro privati. Sette miliardi di dollari di maggiori investimenti saranno destinati al turismo e l’estrazione di gas naturale aumenterà del 50%. I costi degli interventi sono stimati in 71 miliardi di dollari, che secondo i piani saranno coperti interamente dai tagli alla spesa. Non è da escludere, in caso i tagli si rivelino insufficienti, il dirottamento sul piano di parte delle risorse raccolte dalla futura ipo del 5% di Saudi Aramco.
«È un piano sfidante, ma sono obbligati a farlo», ha commentato John Sfakianakis, ex consigliere economico del governo saudita. «In ballo c’è la stabilità sociale e politica del Paese». Queste ed altre proiezioni e cifre offrono un outlook sui progetti della monarchia di Ryad a lungo termine, ma a produrre gli effetti più immediati sul mercato è stato un solo numero: quello sulla produzione di greggio. I governanti sauditi hanno indicato di voler mantenere stabile la produzione a 12,5 milioni di barili al giorno fino al 2020. Nella giornata di ieri, dopo la notizia, il Brent ha più volte sfondato quota 51 dollari al barile, ai massimi da otto mesi. Lo stesso ha fatto il Wti, in area 50 dollari.
Se nei prossimi anni la quantità di petrolio saudita rimarrà stabile, i bond di Ryad potrebbero invadere il mercato mondiale. Negli ultimi mesi l’Arabia ha già chiesto finanziamenti bancari per 10 miliardi di dollari e progetta di collocare, per la prima volta, titoli per altri 15 miliardi di dollari. Le proiezioni del governo al 2020 sono ancora più orientate verso il credito: il rapporto debito-pil dovrebbe crescere dall’attuale 7 al 30% e il rating sovrano dovrebbe migliorare da A1 ad Aa2. Potrebbe voler dire 200 miliardi di titoli nuovi di zecca su un mercato, quello dei bond governativi, con sempre meno da offrire in seguito al Qe della Bce e ai tassi bassi in tutto il mondo. Un’occasione, al netto dei rischi geopolitici, non indifferente. Non mancano però i dubbi: il governo non intende introdurre alcun tipo di imposta sul reddito dei cittadini, che oggi non pagano alcun tributo diretto, e l’unica menzione alla fiscalità riguarda tasse su «prodotti pericolosi e peccaminosi».