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 2016  giugno 08 Mercoledì calendario

Breve e straordinaria storia di Francesco Totti

Piero Mei per Il Messaggero
Il romanzo di Francesco è stato scritto con i piedi: per questo è un capolavoro. Perché Totti è un calciatore; anzi, per molti è Il Calciatore, se non addirittura Il Calcio di un quarto di secolo: il suo, che è quasi un Giubileo reale. Totti per Pelè è il Pelè de noantri: gran parte dei romani, anche fra i laziali, parola che in un articolo su Totti forse andrebbe evitata o censurata, lo vorrebbe al posto di Marc’Aurelio in Campidoglio, o al Colosseo, diritto di vita e di morte con il pollice verso. Esagerando, qualcuno lo immaginerebbe perfino su di un balcone, scegliete quale degli affacci romani.
PORTA METRONIA E BREL
In principio fu il Pupone, anche per via di quel bambino che è dentro ognuno di noi e che Francesco ha saputo tener vivo come la fiaccola olimpica che s’accende in un gioco di specchi e di raggi del sole. C’è voluto del talento ad esser vecchi e non adulti, cantava Jacques Brel, che non era un giocatore del Belgio giacché ai suoi tempi il Belgio aveva sì e no Vincenzo Scifo mica i Ninja di oggi, ma un poeta in musica. Poi è stato il Capitano, c’è solo un Capitano: no Totti, no party, lo stendardo che l’ha accompagnato dovunque. I tifosi della Roma, a parte l’Olimpico di stagione, sono i più speciali viaggiatori dello sport: il loro è un Gran Tour e spesso, in casa o fuori, sono rimasti vittime della sindrome di Stendhal; perché anche loro avevano opere d’arte, pur se calcistica, da ammirare: le giocate di Totti.
Altri striscioni si sono visti e letti, hanno strappato il sorriso o il ringhio: Francesco non ha mai lasciato indifferente nessuno degli spettatori di uno stadio, quando ce n’erano ancora...E difatti negli ultimi spiccioli di tempo che gli sono stati concessi in questa stagione, anche i non romanisti s’alzavano in piedi ad applaudire. Mica la Roma, mica Spalletti, mica chiunque: solo Totti.È stato come consegnargli quel pallone d’oro che non ha mai vinto perché i grandi elettori non badano al valore dell’individuo ma ai risultati di una squadra. E la Roma, pur se quella di Totti, di risultati non ne ha avuti a bizzeffe, anzi: persino meno di quelli che avrebbe meritato.
CIUCCIO IN BOCCA
Però Francesco ha potuto esultare a modo suo, centinaia e centinaia di modi, ad ogni gol: perché non è di quelli che non festeggiano quando segnano da ex. Totti non è nato per essere un ex: un ex giallorosso non sia mai detto. Un ex giocatore? Ma li avete visti gli ultimi minuti delle ultime partite dell’ultima serie A? C’è un popolo giallorosso di menochetrentenni che è cresciuto con Totti: sgambettavano appena, erano loro sì pupi se non puponi, ora sono in cerca di lavoro; studiavano, s’innamoravano, e avevano Totti; mandavano un messaggino, cinguettavano su twitter, postavano su facebook, si scambiavano video su whatsapp e avevano Totti.Quando smetterà, che Dio lo conservi, si sentiranno come gli inglesi quando non intoneranno più Dio salvi la Regina. Un re non sarà altrettanto fantastico. Totti che capiva, e capisce tutt’ora, un attimo prima d’ogni avversario e d’ogni compagno, cosa fare con il pallone, dove e come mandarlo dove lui sa, il compagno arriverà, il portiere avversario non arriverà. Totti che tira un rigore,je fa’ er cucchiaio, oppure a tempo scaduto, come in Germania 2006, quando il pallone pesava più del Cupolone, ma non per Totti. Sì, al contrario della canzone, è da questi particolari che si giudica un giocatore. Ma perché giudicarlo? Totti non si discute: si ama.
Del resto è lui la Roma a cavallo del Terzo Millennio.

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Ugo Trani per Il Messaggero
Il ritornello, almeno in questa città, appartiene solo a lui e coinvolge ogni generazione. Rimbomba forte e colpisce al cuore. Sembra non finire mai, come la sua carriera. E non passa certo di moda. «Un capitano, c’è solo un capitano». Da anni ascoltiamo cantare il popolo romanista che si rivolge direttamente a Totti. Lo chiama così. In Italia, in Europa e, da Oriente a Occidente, nel mondo. Nelle giornate più esaltanti, nelle notti più buie. Per le vittorie, per le sconfitte, nei ritiri e durante le amichevoli. Lo percepiamo anche quando nessuno apre bocca, come se fosse dentro le nostre teste a prescindere. Lo abbiamo sentito ovunque e non solo allo stadio. In autobus, sulle scale mobili della metro, nei supermercati. Anche da chi non è italiano o romano. A volte il brivido è forte, perché l’urlo parte come se qualcuno, e spesso è la tifoseria giallorossa, chiedesse aiuto per sistemare la situazione più delicata nella partita che si è messa male. Ma è bello quanto quello che incorona il miglior giocatore della storia giallorossa che magari ha appena segnato il gol decisivo. Come è successo già 304 volte, sempre con la stessa maglia.
UNICO ALLA META
Mai coro è stato più appropriato. Francesco, la fascia al braccio, la porterà in campo anche quando, nel prossimo campionato, le nozze d’argento con la Roma, 40 anni e 3 figli, nella stagione numero 25 vissuta sempre con gli stessi colori addosso, quelli del primo e unico amore. Il legame forte con il suo club stretto al braccio sinistro, quasi incatenato alla sua maglia che, in tempi diversi, hanno provato a sfilargli, dirigenti e tecnici, senza riuscirci. I record con la società giallorossa sono ormai tutti suoi. Reti, presenze e ovviamente anche partite vissute con quel pezzo di stoffa. Che è stata indossata orgogliosamente da altri campioni della storia romanista: Attilio Ferraris IV, Bernardini, Guido Masetti, Amedeo Amadei, Giacomo Losi, Agostino Di Bartolomei, Bruno Conti e Giuseppe Giannini. Calciatori indimenticabili per i tifosi di ieri e di oggi, ma che non si possono accostare a Francesco, l’unico tra i capitani a non aver mai vestito altri colori.
Romano, campione d’Italia e del mondo. Non ce ne sono altri come lui e chissà se qualcuno riuscirà ad imitarlo. Capitano in 560 delle 758 gare giocate in giallorosso, cioè il 74 per cento della sua favola. Non si è più sfilato la fascia dal 31 ottobre del 1998, sfida contro l’Udinese all’Olimpico. Finì 4 a 0 e Totti festeggiò la promozione, voluta da Zeman e Aldair, con una splendida doppietta. Pochi giorni dopo debuttò con i gradi anche in Europa: il 3 novembre all’Elland Road contro il Leeds. La fascia lo ha accompagnato fino a oggi, raccontando gran parte della sua vita. Perché lì sopra ha fatto stampare il gladiatore, ha scritto i nomi dei suoi figli, partendo dal primogenito Cristian. Ha avuto sul braccio la Lupa, il lupetto, lo stemma del club, gli sponsor e soprattutto il logo dell’Unicef, essendo ambasciatore nel mondo come tanti altri grandi campioni dello sport. Ma la prima volta da capitano è addirittura più lontana. Tappa che poi diventò di buon auspicio. Il 17 ottobre del 1998, sempre all’Olimpico, contro la Fiorentina toccò a lui, appena ventiduenne, perché Aldair, pronto a riprendersela subito contro il Milan a San Siro, era squalificato. A centrocampo Totti scambiò il gagliardetto con Batistuta che, due stagioni più tardi, diventò suo compagno per andare a conquistare il terzo scudetto della Roma. Stretta di mano e patto vincente tra campioni.

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Stefano Carina per Il Messaggero
Il sesto contratto professionistico per Totti. Il settimo, considerando anche il primo (sostanzioso) adeguamento che Francesco ricevette nella stagione 1993-94 (la prima di Mazzone), dopo aver debuttato in serie A qualche mese prima, il 28 marzo 1993. Gli altri sono datati 1996 (circa 60 milioni di lire all’anno); 2001 (modulato da 8 a 12 miliardi a stagione nel quinquennio); 2005 (quasi 5,5 milioni stavolta di euro); 2009 (circa 4,5 milioni) con l’aggiunta di un contratto quinquennale da dirigente già firmato con stipendio pari ai top pagati dal club; 2013 (3,2 milioni) un triennale da calciatore e un altro anno da dirigente da sommare ai cinque stabiliti (confermando i 600mila euro pattuiti con l’ex presidente Rosella Sensi).
TIRA E MOLLA
Sei rinnovi e altrettante storie da raccontare. Alcune piacevoli, altre un po’ meno. Se l’ultimo tira e molla con Pallotta è recente - dalle punzecchiate di Spalletti alla richiesta di rispetto del Capitano, passando per la scivolata di Jim («Il suo corpo e la sua mente dicono cose differenti») e arrivando al riscatto di Francesco sul campo che ha fatto cambiare idea alla dirigenza e raggiungere il terzo posto alla Roma in campionato - in molti dimenticano cosa accadde nel 2001. Insieme all’ultimo, sono stati i due rinnovi più sofferti, i due momenti nei quali Totti è stato veramente ad un nulla dal lasciare la Roma. La situazione precipita il giorno di San Valentino, il 14 febbraio. Anziché innamorati, Totti e la Roma sembrano essere separati in casa. Dopo mesi di trattative (il contratto all’epoca scadeva nel 2003), la situazione verte in uno stallo preoccupante. Il fenomeno delle radio locali è già presente e l’agente del campione, Francesco Zavaglia, sta intervenendo ai microfoni di RadioRadio argomentando le problematiche legate alla mancata intesa. Il presidente Franco Sensi, decide d’intervenire in diretta. Fuochi d’artificio: «Sono intervenuto per dire a Zavaglia di smetterla. Ho sentito molte cose non vere. Zavaglia fa come quei bambini dei miei tempi che uscivano da scuola affamati, compravano due lire di castagnaccio e chiedevano l’aggiunta. Ogni volta che si siede c’è un’aggiunta: io l’ho sempre data, ma ora basta. Ci vuole anche pudore: la Roma non è fatta di un solo giocatore, ma di 25». Il tema del contendere riguarda i collaboratori del calciatore. Totti non la prende bene e in serata minaccia addirittura l’addio: «Il mio sogno è restare alla Roma, ma questi ti fanno venire la voglia di andare via. Ora è dura. Non si chiedono se la mia stagione positiva è legata anche al lavoro di questi collaboratori? Ne sono sicuro, Sensi ha telefonato ad una radio per crearsi un alibi. Sono andato loro incontro tante volte. Il mio doveva essere l’unico contratto da fare: in questi mesi ne hanno stipulati una decina, proprio il mio no. E le questioni Nakata e Cassano dove le mettiamo? Ti fanno pensare a tante cose. Quella sul castagnaccio, poi, mi offende. È come se dicesse che chiedo l’elemosina». Una tempesta che viene inizialmente ricomposta dal tandem Lucchesi-Baldini e poi risolta dalla pace col presidente (e dall’addio qualche mese dopo con Zavaglia) che più di una volta ricorderà in seguito come Francesco è «il figlio maschio che non ho mai avuto».
FINALE DA SCRIVERE
Con la firma sull’ultimo contratto che lo legherà calcisticamente alla Roma ancora per una stagione, Totti corona il sogno di una vita. Quella di giocare con una sola maglia e battere tutti i record del club. Salutare vincendo un trofeo sarebbe l’happy end ideale. Ma questo, non dipende soltanto da Francesco.

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Alessandro Angeloni per Il Messaggero
Nome? «Francesco». Cognome? «Totti». Nato? «Sì». Alex Del Piero ancora ride. Christian Vieri non riusciva a nemmeno a guardarlo in faccia, stesso dicasi per Alessandro Nesta e Marco Delvecchio. La Nazionale era in ritiro alla Borghesiana quando Francesco Totti ha pensato bene di coinvolgere i suoi compagni azzurri a interpretare le barzellette su di lui, dove lui era diventato il protagonista negativo. Insomma, il nome Totti aveva preso il posto di Pierino o dei Carabinieri. Un disastro. Quelle barzellette che avevano cominciato a correre sul web e su tutti i telefonini avevano fatto impermalosire il capitano della Roma. Che tutto doveva fare, tranne offendersi. Qual è stato il giro di vite, la svolta? Invertire il problema: quelle barzellette inventate per mettere Totti in cattiva luce e per farlo passare come l’ignorantello un po’ deficiente e imbranato, diventano lo strumento per scherzarci su. Totti non è più l’obiettivo ma il protagonista: è lui che le produce, le riscrive, le firma, le modella su di sé. Diventa proprio Totti il primo a giocare su se stesso, sui suoi difetti e sui suoi limiti culturali.
NON SOLO SCRITTORE
Prima le raccoglie in un libro, che diventano due, tre; poi ne fa un cd, che diventano due e tre, tipo la saga di Rocky. Totti tira fuori una verve comica e si scrolla di dosso la permalosità, poco tipica del romano. Totti fa ride’, si va dicendo da quel momento in poi, e quei libri e dvd vanno a ruba e il ricavato va in beneficenza. Fa ride perché è spontaneo, perché il finto tonto gli viene bene. E il finto tonto è sempre spendibile negli spot. Francesco diventa un’immagine cinematografica, un’icona da spettacolo e avanspettacolo. Un comico moderno. Memorabili gli spot della Vodafone in compagnia di Gattuso e della moglie Ilary. I nuovi Sandra e Raomondo, sussurrano in tanti.
Ma Totti non è cinematografico solo davanti a una telecamera e con un copione in mano, lo è anche in campo, nelle esultanze, lo è nelle conferenze e nelle interviste. E’ cinematografico dopo un gol: il selfie post rete nel derby di andata della stagione 2014-2015 lo ricorderanno tutti, sempre. E’ cinematografica la maglia vi ho purgato ancora, così come quella sei unica dedicata a Ilary (e un po’ anche alla Roma...). E’ cinematografico quando sussurra a Tudor, zitto ne hai presi quattro, vai a casa. Lo è quando, in panchina, stuzzica Pjanic versandogli addosso qualche goccia d’acqua o quando si mette a palleggiare con un raccattapalle. Carlo Verdone lo pensa protagonista di un suo film, gli spot pubblicitari della Vodafone sono terminati ma ora ne ha girati altri per nuove aziende (fa il poliziotto, il dentista con la 10 Lotto e il capotreno con la Roma/Frecciarossa) e quelle immagini torna ad essere divertente anche senza Gattuso e Ilary. Rocco Siffredi lo ha eletto come suo erede nei film porno. Oddio, magari qui stiamo esagerando. O forse no?

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Roberto Avantaggiato per Il Messaggero
Amato? Forse. Rispettato? Sicuro. Apprezzato? Chissà. Quello tra Francesco Totti e gli arbitri italiani non è mai stato un rapporto facile. Un matrimonio senza momenti di crisi o di lite, com’è accaduto a Alex Del Piero. D’altronde, per lui, capitano della Roma e simbolo della romanità, per il carattere e l’indole che lo hanno sempre accompagnato, non mai stato facile rapportarsi con i direttori di gara. Ai quali ha sempre chiesto tutela (per lui come per gli altri talenti del calcio italiano) quando l’avversario decide di usare le maniere forti per contrastare estro e fantasia. Ma dai quali non sempre ha ricevuto le giuste attenzioni, quelle che avrebbero evitato le reazioni eccessive e gli scatti di nervi che l’hanno invece portato a vedersi mostrare il rosso, ma mai da quell’icona arbitrale che è stato Pierluigi Collina.
IL CALCIONE
Nei quindici rossi che Totti si è visto sventolare in faccia, una sola volta il fallo è stato di reazione plateale ad una provocazione. Come fu quella ricevuta da Balotelli nella finale di coppa Italia del 2010, che lo portò a rifilare un calcione nel sedere di Supermario, mentre entrambi erano dalle parti della bandierina del calcio d’angolo. In venticinque anni di serie A, Francesco Totti è stato espulso 11 volte, alle quali vanno aggiunte le quattro nelle coppe. La prima risale alla stagione 1996-97, incontro casalingo con il Bologna, minuto 90’ di una gara pareggiata dai giallorossi, arbitro Bertini. Lultima, tre anni fa, in un’altra gara finita in pareggio (0-0) ma giocata a San Siro. Anche qui, il rosso è arrivato al 90’ (un minuto che ricorre in cinque occasioni) e a mostrarglielo è stato Rocchi, che ha punito una gomitata all’(ex) amico Mexes. L’episodio più clamoroso tra Totti e la classe arbitrale, risale però alla stagione 2007-08, stadio Friuli di Udine. Mentre Francesco si appresta a calciare a rete dentro l’area, con la Roma sotto di una rete, viene involontariamente ostacolato da Rizzoli, che non avrebbe dovuto trovarsi lì. La rabbia per l’intralcio porta il capitano della Roma a inveire con tre vaffa contro l’arbitro bolognese, che lo ammonisce soltanto. Il fatto diventa subito un caso, che rischia di compromettere la carriera di Rizzoli (ancora lontano dal diventare il numero uno in Italia e che in campionato non ha mai espulso il capitano) mentre costa solo una maxi multa a Totti.
SAN SIRO VIETATO
L’Inter è la squadra contro cui il capitano giallorosso è stato espulso di più (tre volte), mentre San Siro lo ha visto uscire anzitempo dal campo per decisione dell’arbitro in cinque occasioni, due delle quali in altrettanti finali di Coppa Italia. Paolo Bertini, Roberto Rosetti e Domenico Messina, tutti e tre oggi in pensione (il terzo è l’attuale designatore arbitrale) sono invece gli arbitri che, tra campionato e Coppa Italia, hanno espulso più volte (due) Totti. Il capitano, in campo internazionale ha rimediato due cartellini del colore più scuro: al 90’ della gara di ritorno di Coppa Uefa con l’Atletico Madrid (persa 2-1 in casa dai giallorossi) e nel match di Highbury contro l’Arsenal del 2003 per la gomitata a Keown.