Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 07 Martedì calendario

Per fortuna gli svizzeri hanno deciso di non diventare zombie di stato. Il diario da New York di Ruggeri

Mi sono chiesto: e se questa fosse la prima epoca della Storia ove il Popolo, in termini culturali e valoriali, sopravanzi le élite al potere? Me ne sono convinto vivendo in diretta e con ruoli diversi i quasi trent’anni intercorsi dalla caduta del Muro, il declino progressivo di queste élite, lento nei primi 15-20 anni, galoppante dopo il 2008. Questo è da sempre il tema dei miei Camei, dei miei viaggi, specie a Ny alla ricerca di segnali deboli, del terrore che come cittadino provo verso questo sciagurato modello (ceo capitalism).
Nei colloqui con i miei referenti-amici newyorchesi avevo preso l’impegno ad analizzare i risultati di due elezioni che domenica 5 giugno si sarebbero tenute, una in Svizzera (referendum Rbi, «reddito di base incondizionato»), una in Italia (elezioni per i sindaci delle principali metropoli), caricata dal premier Renzi di valenze riferite al prossimo referendum di ottobre, ormai connotato come plebiscito sulla sua persona, «voto on/off» lo definisce lui.
Il referendum svizzero su Rbi ha uno spessore più mistico che politico-economico, prevede infatti che ogni cittadino maggiorenne, solo perché cittadino, indipendentemente dalla sua ricchezza o povertà, riceva 2.500 franchi/mese, 625 se minorenne (esentasse). La Svizzera ha appena 7 milioni di abitanti, la disoccupazione è 3,5%, 2.500 franchi/mese sono la soglia di povertà, mentre per la famiglia classica (2 adulti e due figli minorenni), saremmo a un dignitoso 6.250 franchi/mese. Rbi costerebbe allo Stato 208 miliardi/anno (oltre il 30% del Pil). Togliendo da questa cifra 55 mld di prestazioni sociali (Avs e sussidi di malattia) contabilmente già coperte dal reddito di base, la copertura richiesta sarebbe di 153 miliardi, da reperire, o con imposte, o con nuove tasse, o con massicci aumenti dell’Iva. I promotori «palesi» del referendum sono i partiti di sinistra, quelli «nascosti» i radical chic, gli intellò, i banchieri. Nulla di nuovo, ricordiamo le «lotte feroci» di Buffet, di Soros per pagare più tasse (sic!), in questi giorni a Ny 40 miliardari dai nomi celeberrimi propongono di essere tassati di un’imposta pari al 9,99% da destinare ai newyorchesi poveri (sic!). È il vecchio gioco delle 3 carte dei loschi riccastri per gabbare i poveri sprovveduti.
Il popolo svizzero, ricordiamolo di antica matrice contadina e montanara, non si è fatto gabbare, ha risposto al quesito referendario con un secco No: 26 cantoni su 26, 77% dei votanti. Non mi ha stupito la sprovvedutezza dei promotori palesi (le varie sinistre) del cui afflato sociale in buona fede sono certo, che non si sono soffermati a ragionare sul circolo vizioso che Rbi creerebbe, minando alla base la creazione di ricchezza, riducendo quindi i mezzi disponibili per garantire prestazioni di sicurezza sociale che superano l’importo del reddito di base. Non mi ha invece stupito che le élite, seppur in modo mascherato, lo abbiano spinto. Il modello attuale si basa sullo schema pikettiano «1-99», con una crescita guidata dalla finanza di Wall Street e dalle felpe californiane che, a termine (2040), comporterà la distruzione del 40% degli attuali posti di lavoro (lo dicono loro stessi).
Secondo costoro occorre ridisegnare una società mista, in parte non più cittadini ma consumatori a reddito garantito dallo Stato, e in quest’ottica Rbi è perfetto. I cittadini svizzeri l’hanno capito, hanno rifiutato di diventare zombi di stato, hanno votato No. Votare No significava opporsi ai G7, a Hillary Clinton, a Silicon Valley, a Wall Street, al Ttip, alla globalizzazione selvaggia. Ho raccontato agli amici newyorchesi l’irrilevanza delle elezioni amministrative in Italia, per l’irrilevanza della figura del sindaco. Rispetto alla retorica del sindaco onnipotente di qualche anno fa, oggi si è ridotto a un fantasma con fascia tricolore, senza un euro in cassa, debiti mostruosi, aziende municipalizzate fallite, parte dei dipendenti affamati di diritti ma insensibili ai doveri, cittadini furibondi (vedi Roma). Sindaci deboli si interfacciano con premier forti (specie gli ultimi) che fingono di mantenere invariate le tasse a livello centrale, togliendo però ogni dotazione agli enti periferici, se vogliono fare un minimo di gestione sono costretti ad aumentare le tasse locali, diventando imbarazzanti pungiball delle rabbie.
Un’interessante partita in Italia si giocherà il 2 ottobre con il referendum renziano «on/off», stesso dilemma Hillary-Donald in America. Sarà autunno caldo. 12 Continua.