La Gazzetta dello Sport, 7 giugno 2016
Moratti, ora è finita davvero
Si sono conosciuti da ragazzini, poi da giovani si sono lasciati, quindi si sono ritrovati in età matura riamandosi subito intensamente, totalmente, pazzamente per altri vent’anni e adesso, dopo una lunga pausa di riflessione, Massimo Moratti e l’Inter si dicono addio per sempre. Il triplete, Ronaldo, le battaglie contro il Palazzo, spese folli sul mercato, tifo sfrenato: una delle tre grandi famiglie di imprenditori italiani a capo delle nostre squadre più decorate esce di scena dopo aver favorito il passaggio della sua creatura a investitori cinesi che possono rifarla splendida e seducente. L’ultimo atto d’affetto. Il primo risale a metà anni 50, quando papà Angelo decise di entrare nel calcio. L’Inter alza al cielo la prima coppa dei Campioni (3-1 sul Real Madrid al Prater di Vienna, 27 maggio 1964), Massimo ha appena compiuto 19 anni: l’età delle passioni più accese. Il ciclo è esaltante, la storia lo documenta. Ma il 18 maggio 1968 Moratti senior decide di cedere la società rilevata nel maggio 1955. Massimo, 23enne, comincia a dedicarsi all’azienda. La sua passione dovrà attendere 27 anni.
IL RIACQUISTO È l’avvocato Peppino Prisco, ideale portabandiera della Nord, a mediare per il passaggio del pacchetto azionario di Ernesto Pellegrini, operazione conclusa il 18 febbraio 1995 al costo di 55 miliardi di lire. Il 50enne Massimo trasmette entusiasmo e voglia di fare. Tornano, con compiti dirigenziali o tecnici, i Moschettieri dei trionfi ottenuti dal formidabile squadrone guidato da Helenio Herrera: i «cari ragazzi» Mariolino Corso, Giacintone Facchetti, Sandrino Mazzola e Luisito Suarez sono di nuovo in campo. A sorpresa Moratti conferma Bianchi, l’allenatore scelto da Pellegrini, ma l’Inter perde a Napoli e allora si vira su Roy Hodgson, c.t. della Svizzera. La squadra nerazzurra non si rivela competitiva. Moratti fa un mercato stellare però non riesce a colmare il gap. Ci sarebbe la possibilità, comunque, di cogliere il primo trofeo nella finale Uefa a San Siro. Invece finisce male ai rigori e Zanetti (!) litiga platealmente con l’allenatore. Hodgson perde le staffe e se ne va.
IL FENOMENO Comincia l’era Ronaldo. Un Moratti scatenato punta tutto sul fenomeno brasiliano. Con 48 miliardi di lire porta a casa il più micidiale attaccante in circolazione. In quell’epoca la sua voglia di vittoria non conosce limiti finanziari. L’Inter è finalmente competitiva e difatti contende lo scudetto alla Juve sino allo scontro diretto di Torino, dove Ceccarini non assegna un rigore a Ronaldo. Il presidente incendia il Palazzo con l’impeto e la violenza verbale di un capo ultrà. Il popolo apprezza e poi va a Parigi a fare festa nella finale di coppa Uefa: 3-0 alla Lazio. Massimo, portato in trionfo dai giocatori, è un re a passeggio nel Parco dei Principi.
GINOCCHIO Purtroppo Ronaldo rientra dal Mondiale francese con una tendinopatia rotulea che lo porterà, in seguito, in sala operatoria. Ne viene fuori una stagione travagliata con Simoni traumaticamente esonerato a fine novembre. Moratti vuole un maestro di calcio, il romeno Lucescu, però la squadra lo respinge. Moratti gira pagina e si mette nelle mani di… uno juventino: Marcello Lippi. Altro mercato ingente, ma non funziona nemmeno questa Inter. È Roberto Baggio, nello spareggio con il Parma, a consegnare la chance Champions. Il regalo d’addio di Robi. Lippi all’alba della nuova stagione incassa tre sconfitte e si mette nelle condizioni di farsi esonerare. Il presidente prende Tardelli e riparte come una famosa pubblicità del Carosello televisivo: più lo mandi giù, più si tira su. Va male pure Tardelli, arriva Hector Cuper, l’hombre vertical. Sembra il tecnico giusto invece alla gestione Cuper è legata la più grande delusione patita da Moratti in questa sua lunga avventura, lo scudetto perso all’Olimpico contro la Lazio all’ultima giornata in quel disgraziato pomeriggio del 5 maggio 2002. Un epilogo allucinante di un torneo condotto al comando. A fine estate, una nuova delusione: Ronaldo, trattato come un figlio, seguito con affetto lungo il suo calvario, sceglie il Real Madrid. Il presidente punta tutto su Bobo Vieri (che aveva pagato 90 miliardi).
SVOLTA MOU Zaccheroni, qualificatosi in extremis per la Champions, viene congedato tra imbarazzi diffusi e una lauta liquidazione. E così Roberto Mancini comincia il suo lavoro e centra subito la coppa Italia. Nella seconda stagione c’è il successo in Supercoppa e arriva un’altra coppa Italia. Il campionato si chiude con il terzo posto però in estate la giustizia sportiva assegna a Moratti lo scudetto tolto alla Juve: il presidente lo considererà il più significativo della sua collezione, per lui è un indennizzo di inestimabile valore morale. La Juve retrocessa in B cede per 22 milioni il suo asso Ibrahimovic proprio ai rivali milanesi. Arrivano due scudetti sul campo e arriva pure… José Mourinho, l’uomo del destino Champions. Con Mourinho e la cessione di Ibra al Barcellona in cambio di 50 milioni e il duttile Eto’o, l’Inter compie l’impresa nel modo più esaltante. Eliminando cioè proprio il Barcellona al Camp Nou e poi dominando il Bayern Monaco nella finale di Madrid. In quel giro trionfale al Bernabeu con la coppa fra le mani e l’abbraccio commosso di Mou, Moratti avrà pensato di aver concluso la sua missione: primo in Italia, Europa, mondo (portatogli in dote da Rafa Benitez). Mentalmente ha staccato lì. Mazzarri, Thohir le tappe di avvicinamento al congedo. Ora che il club è in mano a un magnate in grado di rilanciarlo ai più alti livelli, il petroliere può godersi i figli e portare a spasso i nipotini. Magari a San Siro: da tifosi non ci si dimette mai.