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 2016  giugno 07 Martedì calendario

Non è ancora chiaro se la vaghezza di Janet Yellen vada considerata come una qualità o come un difetto

Ormai dai tempi di Alan Greespan, gran maestro di tecnicismo dialettico, le parole dei governatori della Fed richiedono almeno 24 ore di analisi per essere ben interpretate.
È vero che in politica monetaria le parole si pesano e non si contano, ma dopo il tecnicismo di Greenspan e l’imperturbabilità inespressiva di Ben Bernanke, i mercati finanziari non sembrano ancora aver trovato una chiave di lettura per i discorsi di Janet Yellen: a due anni dall’insediamento, il commento più frequente tra i commentatori è “vagueness”, cioè la “vaghezza”. Non è ancora chiaro se vada considerata come una qualità o come un difetto: quello che è certo, è che con la sua “Moral Vagueness” la Yellen è riuscita a far scontare ai mercati un rialzo dei tassi di cui parla da un anno ma che ancora non ha fatto. Una posizione invidiabile, questa, soprattutto se si pensa alla pressione a cui è sottoposto Mario Draghi ogni volta che parla di tassi, ripresa e liquidità: per la Bce, dare certezze non è un’opzione.
Anche con il suo discorso (molto vago) di ieri, la presidente della più importante banca centrale del mondo è riuscita a ri-confondere i mercati sulle prossime mosse della Fed, ma senza scatenare nervosismo o reazioni negative. Quando le varibili politiche o geopolitiche superano quelle economiche, del resto, mantenere lo statu quo va bene a tutti. Quanto meno nel breve periodo: dopo quanto visto ieri, se ne riparlerà dopo il voto inglese su Brexit e soprattutto dopo il voto per la presidenza degli Usa a novembre. Di regola, la Fed non alza o taglia mai i tassi nei sei mesi precedenti le elezioni presidenziali. A meno di altri eventi di natura straordinaria, è difficile pensare a un rialzo dei tassi americani prima della primavera 2017.
Come giudicare, insomma, la scelta della Fed sul più controverso aumento dei tassi degli ultimi 10 anni? Probabilmente, con la stessa rassegnazione che hanno i banchieri sotto cura dei tassi a zero: una medicina dal sapore amaro. Per la comunità finanziaria, infatti, il rialzo dei tassi americani è ormai solo un problema di «quando», non di «se»: il mercato si è già posizionato in questa direzione, è sottoposto a forti scossoni e volatilità proprio perché si trova in un limbo, e considerava scontato un rialzo a fine giugno. Poi la data è stata spostata a fine luglio: da ieri è fuori calendario.
È vero che per giustificare il silenzio sulle date e la mancanza di riferimenti precisi sulla posizione della Fed, la Yellen ha parlato di debolezza inattesa dei dati sull’occupazione americana e dei rischi alla stabilità economica e finanziaria internazionale per effetto del referendum inglese di fine giugno. Ma il vero dato di fatto che sorprende è che nessuno si sia meravigliato o scandalizzato. Sembra quasi che il mercato preferisca convivere con le incertezze del momento che confrontarsi con certezze che potrebbero non piacergli, e quindi aprire nuovi rischi e variabili. Un po’ come accade in Europa sulle manovre straordinarie della Bce: il Qe e la liquidità straordinaria hanno ridotto drasticamente la redditività degli intermediari bancari e assicurativi, ma i rischi legati a un’eventuale riduzione spaventano più dei bilanci senza utili.
Ma l’America non è l’Europa, i titoli di Stato si chiamano solo T-Bond e la missione della Fed è certamente orientata alla crescita quanto alla stabilità dei prezzi: la Fed stampa dollari per tutti e può anche essere vaga, visto che non ha da preoccuparsi delle divergenze ancora esistenti tra 19 titoli di Stato diversi nella sola Eurozona. Senza contare le incognite politiche che pesano sull’euro, sull’Unione e sulla stessa credibilità della risposta europea a sfide come Brexit, il terrorismo o i migranti.
Se il mercato ha accolto favorevolmente il discorso “vago” della Yellen, insomma, è perché ritiene che sia proprio questa la scelta meno dannosa: con due terzi del mondo occidentale che si muove nel tunnel dei tassi a zero o sotto zero, con l’Europa che annaspa sulla Brexit e con la Cina che rallenta e si gonfia di debito bancario, l’America non può comportarsi come una variabile indipendente: un rialzo dei tassi nel momento sbagliato potrebbe far esplodere la bolla che si è creata sui bond e scatenare il carry trade, l’investimento speculativo che gioca sul differenziale tra tassi nazionali diversi.
Il fatto che il mercato sia felice di avere una Fed «vaga» e che punti ora sullo statu quo, fa quasi sorgere un dubbio: o il mercato non ha mai creduto alla Fed, o era la Fed a non credere a quanto diceva un mese fa.