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 2016  giugno 07 Martedì calendario

Le pagelle dei protagonisti del voto

Le pagelle prima dei ballottaggi possono sempre modificarsi, come negli esami di riparazione che sono un secondo tempo della valutazione, e stavolta definitivo: promosso o bocciato. Per cui se a Milano dovesse prevalere Stefano Parisi, Silvio Berlusconi potrebbe veder aumentato quel secco 4 guadagnato dopo la disastrosa e autolesionistica gestione del caso Roma, dove prima ha proposto Giorgia Meloni, ma davanti alla Meloni recalcitrante ha optato per Bertolaso, ma con un Bertolaso azzoppato ha scelto Alfio Marchini. E un buon risultato potrebbe alleggerire la pesantezza del 4 al piddino non ortodosso renziano Virginio Merola a Bologna, che era stato accreditato come vincitore al primo turno ma che non ha raggiunto nemmeno la vetta del 40 per cento, insidiato ora dalla leghista Lucia Borgonzoni (voto 7).
Il trionfo della Raggi
Ma comunque vadano le cose, la squillante e trionfale marcia di Virginia Raggi a Roma non può che essere gratificata da un 8 (così come Roberto Giachetti ha conquistato un 6 se solo si considera la condizione disperante da cui è partito). Un voto che diventa 8+ nel caso della Cinque Stelle di Torino Chiara Appendino la quale, con lavoro certosino, senza la spinta di cui ha goduto la Raggi grazie al disastro Pd dell’era Marino a Roma, con una presenza mediatica praticamente azzerata, ha ottenuto un risultato strabiliante, bloccando la vittoria al primo turno di Piero Fassino (voto 6--), cannibalizzando il deludente voto di sinistra di Giorgio Airaudo (voto 3) e schiantando una destra torinese incartata e rissosa.
La sinistra in crisi
Per i leader nazionali, Beppe Grillo è accreditato di un incoraggiante 7. Ha azzeccato le candidature di Raggi e Appendino, ha effettivamente compiuto il passo di lato non mettendosi al centro della scena rischiando di attirare sì voti ma di farne scappare molti di più, si è tenuto in disparte e oggi può godersi la nascita ufficiale del Movimento 5 Stelle come protagonista di primo piano del nuovo tripolarismo all’italiana. Difficile assegnare a Matteo Renzi un voto superiore al 5. Che anzi avrebbe potuto essere più severo perché il Pd è andato male e soprattutto perché deve prendere atto di una secessione silenziosa del popolo di sinistra che o non va a votare oppure sceglie direttamente l’antagonista di Cinque Stelle, bypassando completamente le tante denominazioni in cui si condensa la sinistra alla sinistra di Renzi che certifica in queste elezioni la sua marginalità non riuscendo ad intercettare né a Torino, né a Roma con Stefano Fassina (voto 4) nemmeno un voto della protesta antirenziana. Peggio di Fassina possono essere valutati Giorgia Meloni (voto 3) che ha contribuito al grande caos della destra romana, alimentando un pasticcio inestricabile accettando il terreno della rissa scelto da Matteo Salvini per poi accontentarsi solo del grande vantaggio acquisito su Alfio Marchini. Il quale Marchini (voto 3) ha compiuto il più spettacolare suicidio politico smentendo la sua immagine di candidato «indipendente» e allontanando tutto l’elettorato che non ha digerito l’alleanza con Berlusconi. La sua trasformazione in candidato di una frazione (minoritaria, con Forza Italia ridotta a un misero 4 per cento) del centrodestra è stato l’opposto dell’immagine di Virginia Raggi: lei si è presentata come candidata alternativa, lontana dai partiti, espressione di un desiderio fortissimo di discontinuità con gli assetti precedenti, lui invece come un pezzo dell’establishment romano legato ai partiti e nemmeno tra i più popolari.
Il sindaco Masaniello
Potrebbe goderne Matteo Salvini, spettatore del disastro berlusconiano, e che però come primo motore della disfatta romana non ha portato a casa un grande risultato meritando perciò un clamoroso 4, corroborato anche dal pessimo risultato della lista della Lega a Milano, surclassata persino da quella di Forza Italia. A Milano il 7 di Sala, che ha pagato un certo disamore della sinistra verso il Partito della Nazione fortemente voluto da Renzi ma che però guida al primo posto la battaglia del ballottaggio, fa da contrappeso all’8 di Stefano Parisi, che si è imposto su una coalizione ingovernabile e che con la sua figura ha dato forza all’ipotesi di un centrodestra moderato. In Campania l’8 squillante del sindaco Masaniello di Napoli Luigi de Magistris è oscurato solo dal 9 di Vincenzo De Luca che ha fatto di Salerno, presa con il 75 per cento dei voti, un caso da studiare nei manuali di sociologia politica. Tra due settimane esami di riparazione. C’è tempo per prepararsi.