la Repubblica, 5 giugno 2016
Pim Pum Pam e così Muguruza ha conquistato Parigi
Si è divertita soprattutto la mia nipotina Lea, che, nell’assistere ai ripetuti colpacci della star vecchia, Serena, e di quella nuova, Garbiñe, non faceva che ripetere Pim Pum, per esclamare Pam a seguito del punto vincente. Non solo si divertiva quanto il nonno si annoiava, Lea, ma aveva, tra i suoi recenti ricordi, da comunicarmi: «Fra i miei giochi ne avevo uno che si chiamava Ping o Tronic, che era un po’ come questa partita, nonno. Su uno schermo una pallina andava e veniva, sempre più veloce, sinché una specie di racchetta, una sbarretta, non riusciva più a aderirle». Mi sembra questo il modo migliore di comunicare al lettore del tutto ignaro, o allo spettatore televisivo oggetto di commenti forse positivi, una vicenda mai avvenuta, in una finale femminile al Roland Garros. Una vicenda tale che, il primo e unico colpo accarezzato, un tentato drop shot, per altro fallito da Serena, si è visto nel corso del ventunesimo game di un match di 22 giochi. E il primo lob, peraltro caduto su una riga, nell’ultimo scambio.
Mi si potrà certo obiettare che, nonostante la mia nota eterosessualità, che mi aveva condotto ad un’autentica passione per Venus, io prediligo i match maschili, per solito più vari dei femminili, sinché l’arrivo della Navratilova mutò un’antica tradizione.
Mi si potrà anche ricordare che, via via che Serena invecchiava, e passava dalla ignara assistenza di un padre padrone a quella di un allenatore vincente, Mouratoglu, il suo gioco diveniva splendidamente monotono, basato su rimbalzi vincenti, o su quelle successive riprese al volo che ho ribattezzato schiaffi. Non pensavo, tuttavia, che Serena potesse far scuola, tanto da essere oggi battuta da qualcuno che le assomigliava nei gesti, se non nel colore della pelle, importante solo per quella parte di spettatori che ancora si identifica con il militare Chauvin.
Chissà chi avrà insegnato, nel Venezuela, a colpire la palla con la racchetta ad una bambina quale Garbiñe Muguruza, a quella Garbiñe che, mi dice un collega spagnolo, significa Immacolata. Quell’ignoto Maestro doveva aver nella mente un’immagine di Serena, un’immagine spinta verso il futuro di un tennis sintetico, se mi permettete rozzo, fatto solo di rimbalzi vincenti e di eventuali successivi schiaffi. L’immagine di Serena è stata via via elaborata mentre Garbiñe cresceva, e deve essersi immaginata di vedersi oggi in uno specchio colorato, e capace di infrangerlo.
Abbiamo dunque una nuova campionessa che, io almeno, non mi aspettavo. La campionessa di un gioco simile al tennis, quello che la mia nipotina Lea ha definito “Tennis pum”. Perdonate, vi prego, un vecchio scriba che non sa essere entusiasta.
Finale d.: Muguruza (Spa) b. S. Williams (Usa) 7-5, 6-4. Oggi finale uomini Djokovic- Murray (15 Eurosport).