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 2016  giugno 05 Domenica calendario

Contro Giovanni Allevi

«Come artista ho il dovere di andare dove nessuno ancora». Manca il verbo: dovrebb’essere «si è spinto». Chi lo dice? Un musicista. Tutti penserebbero a Arnold Schönberg, visti poetica e risultati artistici. Invece si tratta di Giovanni Allevi, che così apprendiamo essere di Schönberg il più autorevole collega.
Poco tempo fa Allevi ha tenuto nella mia città un “concerto” preceduto da grande attesa di ragazzini e ragazzine. Ho visto Napoli tappezzata di manifesti dove campeggia la sua faccia. Fino a ora non sapevo chi fosse: ma ho appreso ch’è famosissimo: così ho voluto informarmene.
L’aspetto è da teen ager. Da teen ager che verso i teen ager dev’essere accattivante, invitante: debbono sentirlo un fratellino, altrimenti non comprano i dischi né i biglietti per i concerti. Così, una massa di capelli ricci indomiti; magliettine economicissime; si fa fotografare scalzo sul pianoforte giacché i piedi nudi sono una cosa molto sexy – anche se i suoi lo sono poco, fidatevi di chi se ne intende. Una faccina da topolino finto-ingenuo; occhiali; ostentato entusiasmo verso tutto ciò che esiste. Ci è e ci fa.
Questo sedicenne spaesato ha quarantasette anni ed è padre di famiglia. Non so quanto make-up in foto e in filmati vi sia; un uomo che sia tale si vergognerebbe a fare alla sua età, per soldi, la commedia del ragazzino.
Però la sua dichiarazione citata in esergo lo mostra un Capaneo, però ottimista, dei miserrimi. Come ho detto, Schönberg avrebbe potuto averne la paternità, ma non si espresse mai così; chi di sé parla in questi termini è Mahler, affetto da megalomania e titanismo: solo che ha scritto la Seconda e la Terza e la Quarta e la Nona Sinfonia, i Kindertotenlieder e Il canto della terra.
Allevi si vanta dei suoi diplomi di Conservatorio e parla con spocchia di sé come di un compositore di altissima professione; del pari del pianista e del direttore d’orchestra.
Come direttore e pianista non fa nemmeno ridere. “In Rete” si possono ascoltare sue composizioni e persino leggere sue “partiture”. Si sarebbe tentati di definirlo un artista della presa in giro, tanto sono velleitarie, rudimentali, al di sotto di ogni giudizio, vellicanti una sotto-percezione musicale da minorati. Se Allevi ne è consapevole, è un genio, perché fa i soldi e la dà a bere: e mi auguro per lui che lo sia. La tragedia è che – forse – egli crede in quel che fa e si prende sul serio. Il suo pubblico ha quel che si merita.
Avendo – un po’ – studiato il caso Allevi avevo deciso di avere la missione storica di smascherarlo: di preparare su di lui un saggio nello stile di Adorno con considerazioni di sociologia dell’ascolto e della comunicazione musicali.
Poi mi sono fermato a pensare. A chi dà fastidio costui, se il suo pubblico è fatto di teen ager e cretini annessi e solo per loro si propina quale Titano degli anni Duemila? I direttori delle due più importanti istituzioni musicali italiane, la Scala e Santa Cecilia, Riccardo Chailly e sir Antony Pappano, non sono degli Allevi che pretendono di spiegare come si eseguono Beethoven e Verdi? A loro s’attergano falangi di Falsi Dimitrij… E prosternati davanti a loro non ci sono ragazzini squittenti, ma presidenti della Repubblica, sindaci di Milano, presidenti di Regione, presidenti di Confindustria, intellettuali, borghesia “illuminata”…