Il Sole 24 Ore, 5 giugno 2016
Il 30 pe rcento degli italiani evade l’Iva. Ma il rapporto col fisco va migliorando
La cartina geografica dell’Italia che evade le tasse restituisce un paese molto più complicato e molto meno omogeneo di quanto potrebbe suggerire la tripartizione storica, meno che mai i luoghi comuni. Pur con dei fondamentali ancora in evidente difficoltà – dall’evasione Iva al 30%, unico dato raffrontabile per omogeneità con l’Ue, dove è al 15,2 %, fino al Tax Gap ancora oltre i 91 miliardi – il rapporto degli italiani con il Fisco va migliorando, nonostante tutto, e la stessa agenzia delle Entrate si scopre (fonte Ocse) la più telematizzata d’Europa. Tanto da far dire a Rossella Orlandi, ospite al Festival dell’Economia di Trento, che “la percezione, quando non il racconto stesso del Paese, almeno sotto il profilo fiscale spesso sono molto lontani dalla realtà”.
Molta acqua è passata sotto i ponti da quando una giovane donna caponucleo dell’Intendenza di finanza svolgeva la sua prima verifica a Certaldo – singolare premonizione dantesca – scoprendo un grande calzaturificio evasore pressoché totale, perché da allora, anche se con fatica, “l’idea che pagare le tasse e’ doveroso, che il nero non è furbizia competitiva ma alterazione e infezione del mercato ha preso progressivamente piede anche da noi”. Certo, ha detto la Orlandi, il paese va guardato e capito intrecciando i dati economici con quelli sociali e pure con quelli criminali. Perché se è vero che il Nord si carica il 53 % dei 91,5 miliardi di Tax gap, ciò è dovuto solo ai volumi del Pil sopra la linea del Po’, perché qui la propensione ad evadere non sfiora mai lontanamente i livelli del Sud (dove arriva a toccare il 60%). Ma sarebbe ingeneroso inchiodare il Mezzogiorno alle sue performance senza capire che quello è il prodotto di difficoltà economiche, sociali e criminali che richiedono, semmai, “un intervento coordinato delle istituzioni, ognuna nel suo ruolo, per ridare prospettiva” alle aree più depresse del paese.
Ma la platea numerosa e attenta che riempie Palazzo Geremia, nel centro del capoluogo della provincia autonoma ex austriaca, e’ interessata soprattutto all’attualità: non è che questo tasso di evasione dipenda da stato di necessità, alias da un fisco troppo vorace? Sul tema la Orlandi la prende da lontano, ma non perde il punto: “Questo è un aspetto che abbiamo molto approfondito” con metodologie e approcci integrati, dice il direttore delle Entrate, per scoprire che “l’anomalia non è la pressione fiscale, alta ma non al top in Europa, ma il fatto che in Italia le tasse le paga un numero di cittadini inferiore a quello dei contribuenti tenuti a farlo”. E allora il dibattito si sposta su evasione e controlli: “Un mito” che l’agenzia possa scovare l’evasione ( e l’elusione) “pigiando un tasto del computer”, e “con 11 mila addetti ai controlli e’fisicamente e umanamente impossibile controllare 40 milioni di dichiarazioni fiscali “. Quindi? “Lavorare sulla repressione e’ imprescindibile, e noi e la Finanza lo facciamo penso anche abbastanza bene” (15 miliardi la riscossione effettiva del 2015, ndr) “ma il vero cambio di passo sono le precompilate, le centinaia di migliaia di lettere dell’agenzia che segnalano incongruenze (lo scorso anno il 50% di adeguamenti spontanei senza contraddittorio)” in sostanza lo sviluppo e l’implementazione di un sistema di compliance sia con le imprese sia con i privati.
Non può mancare un riferimento, sempre chiesto dal pubblico, ai Panama Papers (”stiamo incrociando i dati con i gruppi di lavoro dell’Ocse, e tra poco forse anche dell’Ue. Ma certo questa inchiesta da’ l’ultimo spintone al segreto bancario”) che ovviamente e automaticamente porta con se l’ultimo interrogativo: quando riapre la voluntary disclosure (data ormai per molto imminente)? “Ah no, non è a me che dovete fare questa domanda”.