il Giornale, 5 giugno 2016
L’affaire Sartre e quell’accusa di oscenità per Einaudi (che fu salvato da Bobbio)
Quando un libro è osceno? E qual è il criterio per deciderlo? Chi lo decide? E cosa c’entra la pornografia con l’arte? La storia della letteratura in fondo è anche questo. Come dimostra l’affaire Sartre, lo scandalo che scoppiò in Italia quando, siamo nel 1947, la prima opera dello scrittore francese tradotta da Einaudi, la raccolta di racconti Il muro, è accusata di oltraggio al pudore, scatenando i pruriti dei benpensanti, i proclami di libertà della meglio intellighenzia e la curiosità del pubblico: dopo l’avvio del procedimento penale, come sempre in casi simili, le copie in circolazione andarono a ruba. Vieta la lettura di un libro e diventerà un classico; se va male, un bestseller.
Comunque come andarono esattamente le cose lo sappiamo grazie ad Antonio Armano, cronista culturale e cacciatore di libri maledetti, il quale ha ritrovato una straordinaria documentazione inedita relativa al «dossier Sartre» che ora pubblica per Aragno in un volumetto che porta il titolo del testo più importante di tutto l’incartamento, la Memoria in difesa di Einaudi Giulio che tenne, con una lectio rivolta più ai letterati che ai giudici, nientemeno che il principe dell’Accademia Norberto Bobbio il quale di lì a poco, nel ’48, lascerà l’Università di Padova chiamato alla cattedra di filosofia del diritto a Torino.
Tutto comincia per colpa (figurarsi) di un giornalista: Antonio Baldini il 2 marzo 1947 firma sul Corriere della Sera un articolo (in prima pagina) in cui ironizza su «l’ardimentoso sporcaccione che aveva accettato di voltare in buon italiano con tanta cura, esattezza e innegabile efficacia, quel mostruoso campionario di puzzonate» che è Il muro di Sartre. La cosa incredibile è che la traduttrice è sua nipote: il giornalista ricorda di quando la teneva in braccio odorosa «di latte, di pipì e di borotalco» e che adesso lo fa vergognare per la traduzione spregiudicata di quest’opera «orripilante». La ragazza si chiama Elena d’Amico (sposata ad Antonio Giolitti, discendente dello statista), e Baldini era suo zio per parte materna... Ma non è questo il punto. Il punto è che un avvocato milanese dell’Azione cattolica, Antonio Carones, letto l’articolo, denuncia per oltraggio al pudore l’editore italiano del libro, Giulio Einaudi (gli autori stranieri venivano sempre lasciati in pace, e così Sartre potè rimanere tranquillo al Café Fiore a fumare e bere coi suoi studenti). L’opera – tuona – è «a base di onanismo, di pederastia, di saffismo, con spunti della più inumana passione incestuosa». Notizia su tutti i giornali, baccano nei salotti intellettuali, intervento pubblico di Alberto Moravia: il 15 maggio pubblica sulla Fiera Letteraria l’appassionato articolo Dopoguerra bigotto in cui difende il sesso in letteratura («Diavolo: nella vita l’atto sessuale c’è e se non ci fosse non ci sarebbe la vita. Io voglio che il mio libro sia completo come la vita, ecco tutto»), attacca Manzoni («Quando diceva che nella vita c’è già troppo amore perché se ne parli nei libri, sbagliava. E il suo sbaglio si sente in quel tanto di tiglioso, di senile, di inverosimile, di irritante e di inutile che c’è nel suo libro») e lamenta di trovarsi di nuovo alle prese con la censura dopo i patimenti avuti sotto il fascismo... Ma ancora una volta non è questo il punto.
Il punto è che nel procedimento l’incarico di difensore è affidato a Norberto Bobbio, torinese, noto giurista, per di più nel giro della casa editrice Einaudi, il quale da filosofo del diritto si trova a proteggere il filosofo esistenzialista. I due sono diversissimi e forse nutrono reciproca antipatia – narciso, protagonista e trasgressivo il secondo; sobrio, schivo, misurato il primo – ma Bobbio (assieme al suo sherpa, l’avvocato Carlo Zini Lamberti) fa un lavoro sopraffino. Innanzitutto perché, contrariamente all’abitudine di affrontare i procedimenti penali solo oralmente, redige un vero paper che Antonio Armano ha scovato nell’archivio di Stato di Torino. E poi perché, con la competenza dell’uomo di legge e la sensibilità dell’uomo di cultura, Bobbio, dopo un dotto excursus sull’opera di Sartre, affronta il nodo del rapporto tra letteratura e «oscenità» da una parte (l’arte non può essere oscena) e tra pornografia e letteratura dall’altra (nella pornografia, dove ci può essere censura, la pagina erotica è il fine; nell’opera d’arte, dove non deve esserci censura, un mezzo). E soprattutto cerca una quadra tra gli articoli del codice penale 528 (che punisce pubblicazioni e spettacoli osceni) e 529 (che non considera oscena l’opera d’arte o l’opera di scienza).
Alla fine lo scandaloso «caso Sartre» dopo che lo stesso Giulio Einaudi interviene in prima persona con un’intervista alla Radiodiffusion française, anch’essa inedita e riportata nel libro da Armano – si chiude con l’archiviazione. Sartre rimase autore spregiudicato ma per fortuna non pregiudicato, Giulio Einaudi ne uscì a ciuffo alto, Bobbio guadagnò l’imperitura gratitudine della maison, Moravia si preparò a subire le sue belle denunce per La ciociara e La noia, e la traduttrice Elena Giolitti passerà a Sodoma e Gomorra di Proust...
E, oggi, dopo 70 anni? Dopo 70 anni gli articoli 528 e 529 del codice penale sono ancora in vigore, così come la coda velenosa («Sono vietate le pubblicazioni contrarie al buon costume») del tanto sbandierato art. 21 della Costituzione sulla libertà di pensiero. Sartre e Moravia non li legge più nessuno. E noi, davanti a certi libri, non abbiamo ancora capito la differenza tra arte e pornografia.