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 2016  giugno 06 Lunedì calendario

Vivere (e cantare) come Carmen Consoli, senza cellulare e senza patente

“A me non interessa la declinazione al femminile, credo nella funzione neutra dell’italiano. Perché la ‘o’ deve essere una vocale che definisce il genere maschile? Io, donna, voglio riappropriarmi della ‘o’”. Non è certo questa l’unica crociata laica che Carmen Consoli porta avanti, nel suo quotidiano fatto di musica, di un bimbo di tre anni, di Catania e di Milano, dove ha parte della famiglia e ama i taxi nei quali è indicato di “parlare a bassa voce al cellulare”, lei che il cellulare neanche ce l’ha. Classe 1974, la sicilianità sanguigna di chi d’estate va sull’Etna, perché “il mare su alcune spiagge ci restituisce i souvenir macabri di una tragedia”, Consoli sarà quest’anno, prima donna nella storia, “maestro concertatore” della Notte della Taranta, il 27 agosto a Melpignano, nel Salento. Non prima di aver cantato alla Festa europea della Musica, il 21 giugno in piazza Farnese, a Roma, per celebrare insieme con Le Brigitte il sessantesimo anniversario del gemellaggio tra la Capitale italiana e Parigi.
Consoli, che effetto le fa essere stata la “prima donna” ad aver suonato allo stadio Olimpico, la “prima” ad aver vinto il Premio Tenco e adesso la “prima” maestra (o maestro) a Melpignano?
(ride) Suona come la “prima donna nello spazio”… No, no, è soltanto un grande onore. Sono solo una persona cui hanno affidato questo incarico e che, per fortuna, può avvalersi di eccezionali collaboratori, che mi stanno portando per mano. Mi ritrovo grandi maestri, come Daniele Durante e Luigi Chiriatti, fondatori e profondi conoscitori del Canzoniere grecanico. E poi c’è un’orchestra fantascinante, come dicono i cartoni animati che guarda mio figlio, un’orchestra con voci profonde, che arrivano al cuore. Per chi come me è appassionato di musica popolare è la realizzazione di un sogno.
Che cos’è la musica popolare, oggi in Italia?
Dovrebbe essere un grande insegnamento. Prenda ad esempio il blues, che ha fatto sì che nascessero grandi correnti musicali. Noi italiani, invece, ci siamo sempre vergognati di valorizzare le nostre radici, le abbiamo marchiate come ‘regionali’, cose da nascondere. Ci sentiamo contadini e, per evitare di sembrare inferiori, facciamo quelli che parlano le lingue: i milanesi l’inglese, noi meridionali – dopo due anni che stiamo a Milano – il milanese. Invece quando uno si riappropria delle sue radici diventa glocale e allo stesso tempo modernissimo, contemporaneo. La tradizione musicale la puoi rinchiudere in un museo, e allora la Taranta diventa costumi tipici e tamburelli da ammirare, oppure la puoi far vivere.
Facendola diventare contemporanea.
E vedendola cambiare, trasformarsi, plasmarsi. La nostra “italianitudine” – come dice chi la disprezza – è un punto di forza.
A Melpignano fino a dieci anni fa, o poco più, c’erano soltanto salentini, al massimo pugliesi e qualche turista in vacanza. Adesso è un appuntamento che richiama migliaia di persone da tutto il mondo. Non c’è il rischio che sia diventata moda?
L’evoluzione delle cose e l’espansione delle cose che hanno successo comporta anche il rischio che diventino commerciali. Ma sta nell’abilità di chi le gestisce trarne il giusto vantaggio. Non è vero che tutto ciò che è popolare è anche svantaggioso. Gandhi ci ha insegnato a fare la “guerra” attraverso la pace e il suo messaggio è ancora popolarissimo. Ma non per questo è diventato negativo. La Taranta è la nostra piccola “guerra” contro il nulla che ci ha fagocitato negli ultimi 20 anni.
A cosa si riferisce?
Ai gravissimi attentati perpetrati al nostro patrimonio culturale. Non posso dimenticare che ci venne detto che non si vive di pane e Divina Commedia, o che alcuni artisti, registi, attori, sono dei parassiti. La cultura è un bene intangibile, ma è anche un indotto indiretto. La Notte della Taranta, pur rischiando di diventare la Woodstock del mondo, ha portato la cultura salentina, e italiana, ovunque. Bisogna avere la lucidità di non compromettere la dignità di quello che si fa.
È un riscatto che parte dal Sud?
Non faccio più distinzione tra Nord e Sud in Italia, perché tanto siamo il Sud del mondo. Palermo è Sud, ma anche Milano è Sud, pur essendo una città europea.
A 41 anni Carmen Consoli si sente “arrivata”?
Macché, non mi sento all’altezza di niente. Parliamo di donne come la Nannini, la Mannoia, di tante altre mie colleghe.
Lei parla con grande orgoglio dell’Italia, nonostante tutto.
Le racconto un aneddoto. Una volta andai a Parigi a trovare un amico ed entrai, invitata, in una maison di alta moda. Per un errore, avevo abbottonato male la giacca, i bottoni erano storti. Mi vennero incontro le dipendenti per farmi i complimenti: ‘Certo che voi italiani siete sempre avanti…’. Quando arriva un italiano, arriva la classe. E questo vale nella moda, nella gastronomia, nell’arte. E a Milano c’è tutto questo, ma c’è anche una cosa in più: quando sali su un taxi leggi un cartello che invita a parlare a bassa voce al telefonino. Dovrebbero decretarlo per legge.
Non ama il cellulare?
Non ce l’ho. Quando ho bisogno di chiamare qualcuno inserisco una scheda francese in un telefono che ha 10 anni.
Niente smartphone?
Da quando, dieci anni fa, fui seguita ossessivamente da persone che, in modo illecito, riuscivano ad avere accesso ai miei dati sensibili.
La Sicilia sta vivendo un periodo terribile sul fronte dell’immigrazione.
Sembra un problema solo nostro, che all’Europa non interessa. Si sono dimenticati di quello che hanno fatto.
Cosa hanno fatto?
Anni fa abbiamo detto a questa gente, anche noi italiani: “Veniamo lì da voi, vestiti da supereroi, vi liberiamo dai tiranni senza scrupoli e sventoliamo il vessillo della democrazia, perché ci sta a cuore la vostra felicità”. Ecco, loro ci hanno creduto e adesso vengono a prendersi quella felicità, che non siamo in grado di garantire.
E noi, riusciamo a garantire la nostra?
No, se non abbiamo amore per l’ambiente. Trivellano il mare, vogliono le centrali nucleari, allevano intensivamente gli animali. È una politica miope. Se fanno una centrale, all’inizio sono tutti contenti: non pensano che dopo qualche anno ci sarà da smaltire l’uranio impoverito. Piantate gli alberi, piuttosto, andate in giro a piedi.
Una crociata contro le auto?
Non ho nemmeno la patente.