Corriere della Sera, 6 giugno 2016
La gara perfetta di Valentino, ovvero un normale giorno in ufficio di una Leggenda
Un trattato sulla perfezione, sulla conoscenza e la guida della motocicletta, sulla capacità di stupire ancora dopo vent’anni di gloria. «Una domenica perfetta, non si può chiedere di più», dice Valentino dopo l’impresa del Montmelò, e ha ragione. Inciampa solo al via, quando si fa imbottigliare e da quinto scivola ottavo, poi è una meraviglia via l’altra. Dovizioso e Barbera se li fuma al volo; Iannone e Vinales li svernicia insieme nel secondo giro; Pedrosa se lo mangia al terzo. Un attimo per ricaricare la fionda e riparte: Marquez lo infila al sesto giro, a quello dopo si cucina Lorenzo. Sette giri per zompare in testa e invitare Marquez, risalito secondo, al tango finale.È il primo vero faccia a faccia per la vittoria nell’era post-biscotto e i due lo inscenano da attori sommi e leali. Se fosse teatro sarebbe Shakespeare, se fosse cinema sarebbe Spielberg. Tragedia e kolossal, ma finalmente senza odio. Prima, quintultimo giro, Marquez attacca e Rossi chiude la porta. Poi, terzultimo giro, Marquez affonda e passa. Ora se ne va, dici. E invece no. I due viaggiano incollati, metà ape e metà farfalla, fatti della stessa materia dei prescelti. Valentino però lo è ancora un po’ di più. Così al penultimo giro replica come sa: attacca, passa, va. Racconterà poi che «standogli dietro ho capito che era in difficoltà. Volevo cominciare l’ultimo giro con un bel vantaggio». E infatti Marquez crolla, si accontenta, capisce che è meglio arrendersi. Tanto Lorenzo era già stato fatto fuori poco dopo metà gara da Iannone, recidivo nel giocare a bowling con gli avversari. Jorge era nei guai, quinto, ma sempre meglio di questo zero che gli toglie la leadership del Mondiale, ora di Marquez a più 10, e rimette Rossi in corsa, terzo a meno 22, elettrico come una volta, forse persino di più.
Adesso infatti tutti gli domandano se è vero che così bravo non lo è mai stato in vita sua. Lui non dice né sì né no, solo che «nel 2015 a volte non ero veloce come quest’anno, che lo sono sempre. Sì, è un buon momento». Eufemismo. La seconda vittoria stagionale, la 10ª al Montmelò («Prima volta in doppia cifra in un circuito: sono passato di livello come nei videogame!»), la 114ª in carriera (Agostini a 123 è sempre più vicino ma la scaramanzia domina: «Raggiungerlo? Im-pos-si-bi-le!») è, infatti, «una delle mie più belle, sullo stesso piano di quella su Lorenzo qui nel 2009». Ma la perfezione non è solo guida. Alla base del trionfo di ieri c’è anche la capacità di assorbire la difficoltà e trasformarla in energia. Sabato, si sa, il campione aveva avuto da ridire sul cambio di tracciato per ragioni di sicurezza. Si vedeva già battuto. Aveva pensato a complotti. Non aveva fatto una bella figura. Poi si è calmato e ha lavorato: con il box ha pensato cambi radicali per trovare agilità e trazione, «e curvare meglio nell’ultimo tratto lento». Una rivoluzione. Nel warm up del mattino è andato forte e «ho preso fiducia». L’unico dubbio restavano le gomme dure «ma nel gran caldo hanno tenuto». Vuoi vedere allora che modificare il tracciato gli ha fatto bene anziché male e dunque la polemica di sabato era evitabile? «Non lo so. Ma se volevo dire la mia dovevo andare alla Safety Commission. Così l’unica era adeguarsi alla pista...». Che, pur cambiata, resta una delle sue preferite. «Dopo il Mugello ero triste, avevo apparecchiato tutto per fare una grande gara e dedicarla alla gente. Non è successo là, non restava che farla qui». È finita con il re in piedi sulla moto e centomila in delirio dentro un Camp Nou di sole e d’asfalto. Scene già viste, niente di nuovo: il normale giorno in ufficio di una Leggenda.