Corriere della Sera, 6 giugno 2016
Sulle Europe preoccupate e preoccupanti
Storicamente mi sembra sia sempre esistita una netta separazione fra Europa occidentale e orientale, però forse esageriamo quando non consideriamo Europa parte del Caucaso fino al punto di insegnare a scuola che la montagna più alta d’Europa è il Monte Bianco dimenticando l’Elbrus.
Cesare Scotti
Caro Scotti,
Fra l’Europa occidentale e l’Europa orientale vi fu dall’Ottocento agli inizi del Novecento una Mittel-Europa, una Europa centrale. Parlava soprattutto tedesco con l’accento austriaco e le sue frontiere coincidevano in buona parte con quelle dell’Austria-Ungheria. Aveva una capitale morale, Vienna, ma anche grandi «succursali», da Leopoli a Trieste, da Praga a Budapest, da Lubiana a Zagabria, tutte collegate da uno stesso legame dinastico. Quando visitai Leopoli parecchi anni fa (era ancora una città sovietica), la mia guida volle mostrarmi il Teatro dell’Opera e mi annunciò, con una nota di orgoglio nella voce, che era stato costruito dallo stesso architetto dell’Opera di Vienna. Questa «Europa di mezzo» fu la patria di Kafka e di Freud, del buon Soldato Scv’èik e del pittori della Secessione viennese, dei narratori ungheresi del primo dopoguerra, delle operette viennesi e persino di uno scrittore italiano, Italo Svevo, che volle fondere nel proprio pseudonimo letterario una doppia nazionalità culturale.
La Mittel-Europa cominciò a languire fra il 1919 e il 1920, quando i trattati di Versailles smembrarono l’Impero degli Asburgo. Fu oggetto di molti rimpianti e necrologi, fra cui due romanzi di Joseph Roth («La marcia di Radetzky» e «La cripta dei cappuccini») e un saggio storico di François Fejtö («Requiem per un impero defunto»). Ma sopravvisse fra le due guerre nella memoria di coloro che ne avevano vissuto l’ultimo atto e di due registi cinematografici (Ernst Lubisch e Billy Wilder) che avevano portato a Hollywood lo spirito viennese.
Secondo Milan Kundera, lo scrittore cecoslovacco che vive da qualche decennio a Parigi, l’Europa centrale, come espressione geografica, scomparve quando la Guerra fredda lasciò sul campo soltanto due Europe contrapposte: quella delle democrazie occidentali e quella del blocco sovietico. Non mi chieda, caro Scotti, quale sia oggi la carta politico-culturale dell’Europa. Per il momento vedo soltanto Europe che mi sembrano, per ragioni diverse, altrettanto preoccupate e preoccupanti: quella aggressiva della Nato, quella rancorosa dei populismi, quella di una Unione europea che si dibatte fra le crisi e quella di una Russia frustrata e irascibile.