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 2016  giugno 06 Lunedì calendario

L’elettore sente di non contare nulla, e comincia a credere che neppure l’eletto conti qualcosa

Sarà stata la bella giornata; e forse non è una grande idea indire le elezioni la domenica di fine ponte. La sera i seggi si sono finalmente affollati; e alla fine poteva anche andare peggio. Ma se le previsioni più catastrofiche sono state smentire, resta il fatto che un’ampia quota degli abitanti delle capitali di politica ed economia d’Italia non concorre a scegliere il proprio sindaco. E questo indica che qualcosa, nel funzionamento della democrazia italiana, non va.
L’entusiasmo che aveva accompagnato la stagione dei sindaci si è spento. Oggi il sindaco non è più l’interprete della sua città; a volte è un reprobo, quasi sempre è un amministratore che non ha un euro da spendere.
D’accordo, in campagna elettorale si è parlato più di referendum che di Comuni. Ma non ci sono altre scuse. In passato, per spiegare il calo di partecipazione, si è sostenuto che il bipolarismo non rispecchia un corpo elettorale abituato a frammentarsi in tanti partiti; ma oggi in Italia i poli sono tre, e a Roma i candidati che potevano arrivare al ballottaggio erano quattro. Le vere ragioni dell’astensione sono altre.
Nella primavera di nove anni fa, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo pubblicavano La casta, il saggio più venduto di sempre, senza ricevere una sola smentita. Nel frattempo il Paese ha conosciuto la crisi economica più grave della sua storia unitaria: 25% di produzione industriale in meno, un milione di posti di lavoro persi, sei milioni di poveri, record di disoccupazione tra i giovani. Ma la politica, al di là degli sforzi del Quirinale e dei presidenti delle Camere che pure ci sono stati, si è limitata per il resto a un maquillage: indennità e privilegi sono ancora lì, quasi intatti. Soprattutto, la politica viene spesso percepita come prosecuzione degli affari con altri mezzi; e lo stipendio pubblico talora è solo un anticipo sul grosso degli introiti.
I vecchi arnesi da talk-show sostengono che questo non conta, che il problema è sempre un altro. Ma ci sarà un motivo se i Cinque Stelle, che propongono di dimezzare tutte le indennità e cominciano a farlo con le proprie, mostrano una capacità di mobilitazione che i partiti tradizionali hanno perduto; come si è visto in forme superiori alle attese sia a Roma sia a Torino. Con le riforme di Province e Senato, Renzi ha scelto di puntare sulla riduzione del ceto politico: si vedrà al referendum di ottobre se è la via giusta. E si vedrà nei prossimi anni se la lotta alla corruzione avrà portato risultati che finora non si sono visti.
Non è solo questione di privilegi e di scandali. La democrazia non decide. L’elettore sente di non contare nulla, e comincia a credere che neppure l’eletto conti qualcosa. L’impressione è che le grandi scelte siano prese al di fuori dal perimetro della rappresentanza: dalle lobby, dalle burocrazie europee, dalla finanza internazionale, dai padroni delle anime quali sono diventati i tycoon della rivoluzione digitale. In queste condizioni, è comunque significativo che milioni di italiani siano andati alle urne; a maggior ragione a Roma, reduce dal fallimento di Alemanno e da quello di Marino, dove l’affluenza supera di oltre 4 punti quella del 2013 (mentre la partecipazione cala in modo ben più significativo a Milano).
Un tempo l’astensione favoriva la sinistra, considerata più militante. Ma oggi la sinistra – o, più precisamente, il Pd renziano – è al potere. Il dinamismo del premier non è in discussione; ma la difficoltà a mobilitare l’opinione pubblica è sempre una sconfitta per chi governa, e anche per chi ha governato prima di lui e ora vorrebbe rientrare in campo. Renzi ha due settimane di tempo per motivare il proprio elettorato. Un’affluenza troppo bassa ai ballottaggi non sarebbe un buon segnale neppure per il referendum di ottobre; quando davvero saranno in gioco le sorti del governo e del Paese, e il No potrà contare su un voto organizzato – quasi tutti i partiti e i sindacati – mentre il Sì avrà bisogno del voto di opinione.