La Gazzetta dello Sport, 5 giugno 2016
La Germania Ovest, Van Basten e l’Italia di Vicini: ricordi dell’Europeo ’88
Largo ai giovani. L’Italia che il commissario tecnico Azeglio Vicini porta al campionato europeo del 1988 è una squadra fresca, simpatica, allegra. Dopo il fallimento ai Mondiali di Messico ’86, che ha sostanzialmente decretato il pensionamento del meraviglioso gruppo di Bearzot, quello che ci regalò il titolo nell’82, la Federazione decide di cambiare strada: c’è bisogno di un ringiovanimento dei ranghi, c’è bisogno di divertire la gente, siamo negli anni Ottanta, lo spettacolo deve essere l’obiettivo. Azeglio Vicini sceglie un metodo che dovrebbe essere l’abicì di ogni allenatore: cresce una squadra, la studia, la plasma, la vede all’opera nell’Under 21 e poi, senza grandi cambiamenti, la trasferisce nel calcio dei grandi. Successo garantito.
EUROPA DIVISA L’Europeo si disputa in Germania Ovest dal 10 al 25 giugno. Gli azzurri sono inseriti nel gruppo A, assieme ai tedeschi padroni di casa, alla Spagna e alla Danimarca. Passano le prime due e per la nazionale di Vicini non ci sono problemi. Pareggio all’esordio contro la Germania: 1-1, gli azzurri che vanno in vantaggio con Mancini e poi vengono ripresi da un gol di Brehme, ma giocano bene. Bene davvero. E questa è la cosa che maggiormente stupisce perché l’Italia, nella storia, non è mai stata una squadra che abbia fatto della manovra elegante, frizzante, armoniosa la sua cifra di riconoscibilità. Noi siamo sempre stati grintosi, difensivisti, aggressivi, fin dai tempi dei Leoni di Highbury, ricordate? Con Vicini, invece, si vede una Nazionale che gioca un calcio brillante, dribbling, duetti, cross, triangoli. In porta c’è Zenga, in difesa Franco Baresi, Bergomi, Ferri e Paolo Maldini. A centrocampo Giannini ha la bacchetta del comando: organizza, disegna, lancia. Poi, ai suoi lati, si alternano De Napoli, Ancelotti, De Agostini. E là davanti, supportati dalle invenzioni di Donadoni, i «gemelli» della Samp Vialli e Mancini. La velocità e l’imprevedibilità sono le nostre armi migliori.
CHE SQUADRA La seconda partita è contro la Spagna e ci pensa Vialli a risolverla. La terza è una passeggiata contro la Danimarca: 2-0, reti di Altobelli e De Agostini. Si va in semifinale. Sarà durissima, perché di fronte avremo l’Unione Sovietica di Lobanovski, una perfetta macchina da guerra che ha già impressionato al Mondiale del 1986. Troppo superiori i nostri avversari, non reggiamo sul piano atletico e crolliamo: 0-2. Ma abbiamo gettato le basi per un ciclo che proseguirà fino al Mondiale di Italia ’90. Quell’Europeo lo vincerà l’Olanda di Gullit e Van Basten. E proprio il centravanti regala al mondo un gol meraviglioso, tiro al volo di destro da posizione impossibile. L’Italia, va ammesso onestamente, non è a quel livello, però sono stati fatti passi in avanti rispetto alle sbiadite prestazioni del 1986. C’è un dato che la dice lunga sull’impressione che gli azzurri hanno suscitato tra i critici del mondo intero: ben quattro giocatori della Nazionale di Azeglio Vicini vengono inseriti nella squadra ideale del torneo. Si tratta di Giuseppe Bergomi, Paolo Maldini, Giuseppe Giannini e Gianluca Vialli. Sicuramente, dopo anni e anni di difesa e contropiede, di azzurri attaccati alle maglie degli avversari e di falli tattici, abbiamo imboccato una strada nuova. E la gente sembra aver capito lo spirito con il quale è stata intrapresa la rivoluzione. Il pubblico, e gli stadi pieni durante il Mondiale di Italia ’90 lo dimostrano, segue gli azzurri, li spinge e li aiuta. L’operazione simpatia ha fatto centro, anche se non siamo riusciti ad alzare il trofeo.