La Stampa, 5 giugno 2016
Il giorno in cui nacque Specchio dei Tempi
Il 16 dicembre 1955 era un venerdì. Sul tavolo del direttore de «La Stampa», Giulio De Benedetti, c’erano come sempre alcune grosse buste. In ognuna un mazzo di lettere legate con un nastro.
Erano le lettere che i lettori scrivevano al giornale e che lui, il direttore, amava leggere dopo pranzo, spesso e volentieri passeggiando nel parco della sua casa di Trana, prima di tornare al giornale a finire le pagine impostate al mattino. Di quelle lettere, in fondo, restava poco. Qualcuna finiva alla Cronaca per un approfondimento, magari per trarne un articolo. Le altre restavano invece lì, dopo essere state lette. A prendere polvere.Quel mattino De Benedetti chiamò Ferruccio Borio, il capocronista, e gli spiegò di voler dare direttamente voce ai lettori, aprendo una rubrica di lettere. «Non tanto grande, ma che si veda bene: titolo a due colonne, a centro pagina. La chiameremo Specchio dei tempi». Poi aggiunse: «Non dobbiamo avere paura a pubblicare opinioni, dubbi o paure. Se un lettore ci scrive, ha certo il motivo per farlo. Chi di dovere risponderà». E concluse con un impegno. «Comunque, per quanto potrò, le lettere le sceglierò da solo, ogni giorno prima di fare il giornale...».
Fu Pino Comazzi, un giovane tipografo che sarebbe poi diventato lo storico riferimento di tutto il reparto, a scegliere corpo e carattere e a comporre, sulla linotype, il primo titolo di piombo. Piacque a De Benedetti perché era «diverso dagli altri», esattamente come la rubrica che era diversa da tutti gli altri articoli. Non sarebbe cambiato più.Si racconta che qualche redattore, a cui non sfuggiva il non indifferente impegno quotidiano del direttore nel leggere decine e decine di lettere al giorno, ipotizzò vita breve per la rubrica. Ma si sbagliava. Il numero delle lettere cresceva, le richieste di chiarimenti e aiuti aumentavano, fu subito avviata un’attività solidale, quella dei «Sabati della carità» che consentiva ai lettori di compiere una buona azione a settimana, aiutando una famiglia indigente, un bambino malato, una comunità in difficoltà. Dandone notizia sul giornale appunto il sabato.
Sulle pagine di quei giorni storie drammatiche ma anche delicate. Fra le prime ad essere aiutate la madre di due bimbi in tenerissima età che aveva perso il marito, travolto da un tram a cavalli vicino a Porta Palazzo a Torino. Una vicenda che ebbe un seguito inatteso un mattino del luglio dell’81 quando Marco Marello, il caporedattore che era diventato l’anima della fondazione, fu chiamato all’ingresso di via Marenco. C’erano due persone, un uomo e una donna, che gli consegnarono una busta: «Venticinque anni fa – spiegarono – Specchio aiutò mia madre in un momento difficilissimo. Ora lei non c’è più, ma si era fatta promettere che avremmo donato a Specchio il nostro primo stipendio. Siamo qui per mantenere questo impegno».
Drammatico, sempre nei primi mesi di attività di Specchio, il reportage di Giovanni Trovati, che sarebbe poi diventato vicedirettore del giornale, su un’altra famigliola che era costretta, da una serie di lutti, a vivere in una stalla e a fare la fame sulle montagne dell’Alto Canavese. Specchio ne seguì la vita per alcuni anni, fornendo viveri ed aiuti. Uno di quei bambini poté fare l’università e divenne giornalista de «La Stampa», dove ha lavorato sino a pochissimi anni fa.