Il Messaggero, 5 giugno 2016
I voli di linea senza pilota, ecco il futuro dietro l’angolo
Nuova frontiera dell’anti-terrorismo o inconfessabile minaccia agli aerei civili? Il disastro, lo scorso 19 maggio, dell’Egyptair MS804 in volo da Parigi al Cairo precipitato al largo di Alessandria in piena notte, riporta in auge tra gli esperti di security e di aviazione civile una tecnologia che sarebbe un errore definire avveniristica, visto che i primi esperimenti risalgono almeno alla metà degli anni ’80. Il tipo di brevetto va sotto il nome di Uninterruptible autopilot system, o sistema di autopilotaggio non interrompibile.
Espressione che implica ma non dice un’altra decisiva caratteristica di questo dispositivo: la possibilità di pilotaggio remoto, a distanza, di un pilota che da un centro di controllo (una torre o un’agenzia governativa) si sostituisce ai piloti dell’aereo. Tecnologia già alla portata delle grandi case costruttrici e delle principali compagnie aeree ma che stenta a decollare per le imbarazzanti implicazioni e controindicazioni. Le stesse che suscitano in Rete un florilegio di spiegazioni complottiste degli ultimi misteri dell’aria, dall’MS804 egiziano a ritroso fino al Boeing 777 MH370della Malaysia Airlines in volo da Kuala Lumpur a Pechino, misteriosamente sparito l’8 marzo 2014 e mai più ritrovato.
GLI USI
In breve, gli appassionati di teorie cospiratorie insinuano che in entrambi i casi si sia trattato di esperimenti falliti di pilotaggio remoto. Altro che fantasmi. Ma l’Uninterruptible autopilot system resta la frontiera del futuro per la sicurezza aerea: dopo anni e anni di prove e brevetti lo si è rispolverato all’indomani dell’incredibile impatto suicida del Germanwings in rotta da Barcellona alla Germania, portato a schiantarsi sulle montagne dal co-pilota Andreas Lubitz. Il comandante non riuscì a rientrare nella cabina blindata. A sua volta, la blindatura delle cabine è una lontana conseguenza dell’11 Settembre. Se l’Airbus A320 fosse stato dotato di autopilotaggio remoto, un altro pilota comodamente seduto in un centro di controllo avrebbe potuto impossessarsi della cloche, manovrando a distanza fino all’atterraggio sulla pista di Düsseldorf, Germania.
L’interrogativo posto da Air-accidents.com, il sito che nelle sue newsletter analizza gli incidenti aerei in tutto il mondo, è il seguente: «Se da terra è possibile far volare e controllare un cosiddetto drone, cosa sappiamo della possibilità che la stessa applicazione venga applicata a un velivolo di linea?». Argomento attualissimo ma «a dir poco scottante», perché implica una rivoluzione per «i velivoli commerciali utilizzati da quasi 4 miliardi di persone l’anno».
I SEGRETI
Il sistema può, di fatto, sottrarre i comandi ai piloti che impazziscano o che manifestino intenzioni suicide-omicide, o siano sotto minaccia o tortura da parte di terroristi o dirottatori, quindi costretti a compiere manovre illegali. A quel punto il controllo dell’apparecchio passerebbe attraverso segnali digitali al traffico aereo, ai satelliti e ad agenzie di sicurezza governative. L’anno cruciale per questa tecnologia è il 1984, quando i ricercatori della Nasa e della FAA (Federal aviation administration) americane uniscono gli sforzi e dopo quattro anni di lavoro li coronano col volo sperimentale di un Boeing 720 pieno di manichini al posto dei passeggeri e senza piloti, fatto decollare il 1° dicembre dall’aeroporto militare di Edwards, in California, e riatterrare dopo avere raggiunto l’altitudine di 2300 piedi (meno di mille metri). La prova serve a testare un tipo speciale di carburante in grado di attutire gli incendi. Ma il test dimostra la possibilità del pilotaggio remoto di un grande velivolo commerciale 17 anni prima dell’11 Settembre )e 30 prima della sparizione dell’Airbus malese).
L’apparecchio, del resto, ha già volato con piloti in carne e ossa d’emergenza, con lunghe fasi di volo da pilotaggio remoto. L’impulso fondamentale lo dà George W. Bush dopo le Torri gemelle. Nel 2003, Wall Street Journal e Daily Mail raccontano di progressi notevoli e di pochi anni ancora per le applicazioni effettive. Altra data da segnare il 13 maggio 2013, quando un BAE Jetstream 31 vola per 500 miglia da Warton a Inverness nel Regno Unito, sfrecciando senza pilota in mezzo al caotico traffico commerciale britannico. Test superato. Il sistema è tecnicamente a disposizione, la decisione di impiegarlo o addirittura renderlo obbligatorio per i voli commerciali è solo politica. Bypassare completamente il comando degli equipaggi, infatti, non sarebbe un’innovazione indolore. Scettiche le compagnie aeree, contrari i sindacati dei piloti. Anche i governi frenano: il rischio è che trattandosi di sistema vulnerabile, «potrebbe essere facile’ preda osserva Air-accidents.com degli hackers ed è forse questo l’anello debole della catena che costituisce il più serio impedimento al suo lancio». In pratica, piloti usciti di testa e dirottatori agguerriti si troverebbero beffati e impotenti, anche grazie ad accorgimenti costruttivi come i circuiti di alimentazione autonoma delle apparecchiature di risposta ai segnali remoti. Impraticabile qualsiasi tentativo di ulteriore sabotaggio del pilota remoto. Ma il braccio di ferro tra responsabili della sicurezza aerea e psiche dei piloti o progetti esplosivi dei terroristi si sposterebbe in Rete. Non più tra controllo aereo e pirati dell’aria, ma tra tecnici informatici e pirati del Web. Un incubo. Che cosa succederebbe se un hacker riuscisse a impadronirsi della cloche di un Boeing o di un Airbus commerciale dotato di pilotaggio remoto non interrompibile, con piloti sanissimi, senza dirottatori a bordo, e pieno di passeggeri?