Avvenire, 3 giugno 2016
Marco Malvaldi lascia da parte per un attimo il Bar Lume e si dedica all’imprevedibilità del gol
Una delle derive del nostro tempo è quella di aver visto proliferare l’insostenibile pesantezza del giornalista-tifoso e di conseguenza dell’intellettuale-ultrà (scrittore, saggista, opinionista radio e tv, blogger) a discapito della leggerezza del calcio di poesia. A questo autogol rimedia una delle penne più brillanti e divertenti del nostro panorama letterario, Marco Malvaldi. L’ultima grande scoperta di casa Sellerio è questo pisano, monicelliano, classe 1974: coscritto di Alessandro Del Piero. «Ma io sono un cuore Toro», tiene a precisare Malvaldi. Dal 2007, stagione del suo debutto folgorante con La briscola in cinque, fino all’ultimo successo La battaglia navale, ha pubblicato dieci romanzi che puntualmente scalano la vetta della classifica dei libri più venduti. Oltre un milione di copie e traduzioni in una dozzina di Paesi per i dieci piccoli gioielli della saga dei pensionati avventori del “BarLume”. Il bar sport di Malvaldi, che non a caso dice: «Sono cresciuto e mi sono formato con il Bar Sport di Stefano Benni».
Ma è vero che la passione per il calcio, da chimico laureato alla Normale, ora l’ha spinta a studiarlo dal punto di vista scientifico?
«Verissimo. Con il dipartimento di Informatica del Centro di ricerca matematica Ennio De Giorgi stiamo studiando “l’imprevedibilità del gol”».
Per l’unico vero poeta calciatore, Ezio Vendrame, il «gol è la morte di tutto»...
«Può darsi. Gianni Brera del resto sosteneva che la partita perfetta doveva finire 0-0. La ricerca del gol, del vero elemento imprevedibile nel calcio, a noi serve per comprendere il grado di pericolosità di una squadra attraverso la sua capacità di azione».
E questa imprevedibilità può essere calcolata?
«Abbiamo messo in campo delle unità di misura come l’entropia di Shannon (una sorgente di messaggi è l’informazione media contenuta in ogni messaggio emesso), che consente di valutare il grado di disordine: questo più è elevato e più la squadra sarà in grado di rendersi imprevedibile, quindi superiore agli avversari».
Il tasso di disordine lo aveva già teorizzato un decano della panchina, Eugenio Fascetti quando parla di «caos organizzato».
«Infatti Fascetti è citato nel nostro studio e noi concordiamo che quanto più il disordine è organizzato tanto più si alza il picco di imprevedibilità che sul campo determina una squadra vincente e l’altra perdente. In natura il confronto sarebbe come quello tra il tornado e il contadino: il tornado sa sempre cosa fare, distruggere, il contadino a sua volta non sa mai come difendersi dalla calamità improvvisa e quindi soccombe».
È una metafora sui limiti umani del calciatore in quanto lavoratore privilegiato della terra?
«In parte sì, perché da questo studio abbiamo avuto la conferma che la maggior parte dei fenomeni pericolosi, azioni di calcio comprese, sono “non lineari” e che l’uomo non è ancora in grado di gestire il fattore accelerazione. Se io mi getto dieci volte dall’altezza di un metro, non è lo stesso che se mi lancio una volta sola da un balcone di dieci metri. Aumentando l’altezza l’accelerazione di gravità diventa devastante e l’uomo, il calciatore in questo caso, non è in grado di regolare l’accelerazione».
Il segreto del calcio vincente sta dunque nell’accelerazione?
«Può essere una chiave di lettura determinante. Il Barcellona ad esempio ha accelerazioni straordinarie: passa da fasi di gioco letargiche a improvvise e incontenibili folate. Ora stiamo tentando di capire se questa è una grandezza affidabile e lo scopo è applicarla non solo al calcio, ma a tutte le attività umane».
La scienza applicata al calcio è sicuramente l’ultima frontiera. Noi però eravamo rimasti alla distinzione pasoliniana «calcio di poesia e quello di prosa».
«Una dicotomia tradizionale che resiste. Il calcio di prosa risiede nell’organizzazione in campo, quello di poesia nelle persone che giocano. Il massimo esempio del calcio di poesia per la mia generazione è stato Maradona. Scientificamente è un “coso brevilineo-barattolato”, eppure nella mia memoria infantile lo vedo ancora lì gigantesco, in mezzo al campo prima di un Pisa-Napoli... Mentre gli altri si affannano in esercizi ginnici, lui, giocherella con il pallone come una foca ammaestrata senza mai farlo cadere in terra. In quell’immagine c’è tutta l’imprevedibilità e l’eterna poesia del calcio».
E qual è invece l’imprevidibilità dei tifosi sugli spalti?
«Dobbiamo ancora analizzarla, ma ho due casi distinti ed esemplari che riguardano due tifoserie da sempre contro, quelle di Pisa e Livorno. Il primo: Pisa in C1, partita decisiva per la promozione in B, Vianello segna dopo 30 secondi e dalla Curva una voce stentorea grida: “Arbitro è finita!”... L’altro caso: la prima gara in Serie A dopo tanti anni del Livorno a San Siro contro il Milan. Migliaia di livornesi in Curva con le bandane (in segno di sfottò contro Berlusconi), un papà vestito da manager con un bambino bardato di bandana e completo elegante amaranto. Osservati dalla folla il padre si giustifica: «Non sono stato mica io, è lui che ha insistito a vestirsi così...».
Una scena degna del regista, livornese sfegatato, PaoloVirzì. Ma anche dei suoi romanzi, sempre permeati dalla commedia all’italiana.
«Io parto dal cinema di Risi e Monicelli per arrivare al “BarLume”. L’ironia tagliente l’ho messa in tutti i miei gialli – anche quando ci sono scene di ammazzamenti – e in tutti i racconti, compreso l’ultimo inserito nel libro collettivo (Aykol, Costa, Giménez-Bartlett, Manzini, Recami, Savatteri) Calcio in giallo (Sellerio, pagine 301, euro14,00)».
Nel racconto le protagoniste sono le ragazze di una squadra di beach soccer.
«Il calcio femminile a volte lo preferisco a quello maschile. Come molte altre discipline, tennis, pallavolo, anche il calcio rosa permette di apprezzare il gesto tecnico a velocità normale. E poi molte calciatrici ormai possiedono una tecnica elevata e invidiabile».
Chi le osserva giocare, anche nel racconto, non nasconde il pregiudizio: il calcio è ancora uno sport di assoluto dominio maschile...
«Il pregiudizio sul calcio femminile prevarrà fino al giorno in cui non avremo una Nazionale ai vertici mondiali. È andata così per le ragazze del tennis, ma quando hanno iniziato a dominare in Fed Cup nessuno faceva più il paragone con la squadra maschile di Coppa Davis. In fondo, come nel calcio chi segna più gol vince, così nello sport, tutto, solo chi miete successi entra nel cuore della gente».
Lo stesso dunque vale per Malvaldi, capolista nella classifica delle vendite editoriali... Sta studiando il fenomeno delle “vertigini” da vetta?
«Non occorre, quel primato lo prendo come un gioco. E poi è già terminato, è appena uscito l’ultimo romanzo di Andrea Camilleri L’altro capo del filo (Sellerio), non c’è partita... Camilleri e il calcio? Credo guardi con diffidenza qualsiasi attività fisica. Io comunque prima del calcio amo il tennistavolo. Lo pratico e ho letto Metafisica del ping pong. L’ha scritto un argentino, Guido Mina di Sospiro, l’Osvaldo Soriano del tennistavolo».