la Repubblica, 3 giugno 2016
In Argentina il calcio è una questione di politica
Julio Grandona, il grande boss dell’Afa (Federazione calcio argentina), è morto 82enne, il 30 luglio del 2014, dopo aver regnato sugli affari del football per 35 anni consecutivi. E da allora i club non sono riusciti a eleggerne un altro.A dicembre l’elezione venne annullata perché nell’urna c’era una scheda in più dei votanti presenti. Adesso la nuova votazione, che avrebbe dovuto svolgersi il 30 giugno, è stata sospesa con l’intervento del governo, quasi sicuramente perché il probabile vincitore, Hugo Moyano, è un avversario del presidente Macri. L’argomentazione per la sospensione del voto è tecnica: debiti, corruzione, e bilanci malmessi delle squadre. Ma la ragione è tutta politica. Basta osservare i protagonisti di quella che a Buenos Aires chiamano «la guerra del fùtbol» per capire come dietro gli assetti del calcio, in realtà si gioca il futuro degli equilibri politici nazionali. Infatti ora, in lotta per il controllo dell’associazione del calcio argentino (Afa), ci sono Hugo Moyano, Marcelo Tinelli e Mauricio Macri.Hugo Moyano è il segretario della CGT, la Confederazione generale del lavoro, una delle più importanti centrali sindacali argentine, a maggioranza peronista. Ma è anche il presidente dell’Independiente, una delle grandi squadre di Buenos Aires. Moyano, che nelle ultime settimane avrebbe raccolto tra i presidenti dei club i suffragi sufficienti per conquistare l’Afa, è un personaggio complicato per Macri. Peronista, ma di quelli critici con l’ex presidente Cristina Kirchner, Moyano, che controlla un settore fortissimo della CGT, quello dei camionisti, si era avvicinato a Macri nelle ultime battute del ballottaggio presidenziale a fine novembre 2015, per poi allontanarsene di nuovo ora che la terapia shock del governo in economia ha peggiorato la qualità della vita delle classi povere.L’altro pezzo da novanta della sfida è Marcelo Tinelli. Conduttore e produttore di show televisivi di grande audience, è anche vicepresidente del San Lorenzo, altra storica squadra di Buenos Aires, della quale è socio da sempre anche Papa Francesco, e non ha mai nascosto la sua aspirazione a «scendere in politica» grazie al sostegno degli hooligans e ai successi in tv. In questa guerra il vero obiettivo di Tinelli è la nascita di una “Superliga”, un campionato di seria A con meno di venti squadre – oggi sono trenta –, che aprirebbe alla possibilità di modificare lo status legale dei club di calcio argentini.Oggi sono «associazioni di tifosi» e non società per azioni quotate in Borsa, nelle quali il presidente non è il proprietario. Un processo di privatizzazione delle squadre che porterebbe in futuro più soldi per le grandi, abbandonando quelle minori al loro destino. Una rivoluzione sul modello dei campionati europei – alla quale Moyano s’oppone – dove successi e introiti dei diritti tv, nonostante il Leicester di Ranieri, vengono spartiti fra pochi, potentissimi e ricchi, club. Per capire meglio la posta in gioco, bisogna fare un passo indietro. Una delle grandi battaglie populiste per conquistare consensi da parte di Cristina Kirchner (presidente dal 2007 al 2015), fu quella del «fútbol para todos » – il calcio per tutti in chiaro in televisione – con la quale decise di «nazionalizzare» le partite strappando i diritti tv ai privati che le trasmettevano a pagamento. Mossa che moltiplicò i suoi sostenitori nelle villas miserias, le baraccopoli ai margini della capitale. Da allora è lo Stato argentino a sovvenzionare le squadre, pagando con le tasse di tutti, diritti tv per oltre 130 milioni di euro all’anno. Per vincere le presidenziali, alla fine dell’anno scorso, anche Macri dovette promettere che non avrebbe privatizzato di nuovo la trasmissione delle partite.L’attuale presidente argentino, è stato per più di 10 anni a capo del Boca Juniors, famosa squadra fondata dagli immigrati italiani in Argentina. E ancora oggi conserva interessi e egemonia nel club. Anche lui vorrebbe privatizzare, come Tinelli e contro Moyano. Ma la partita resta un “tutti contro tutti” visto che Macri non può che osservare con sospetto le mosse di Tinelli. Potrebbe facilmente diventare il suo prossimo avversario in politica.