Libero, 1 giugno 2016
Femminicidio si può dire, familicidio no. Una verità indicibile
Leggo, esterrefatto, di femmine bruciate da maschi. E continuo a leggere di femminicidio (inteso come omicidio di donne da parte di conoscenti o partner) ma continuo anche a credere che giornalisti e intellettuali stiano svolgendo un ruolo truffaldino. Da loro accetterei questo discorso: cari italiani, se enfatizziamo ogni cosiddetto femminicidio – al di là del pubblico interesse – è perché vogliamo promuovere un dibattito su un problema strutturale alla società, ergo il descriverlo in termini emergenziali può aiutare a sensibilizzare l’opinione pubblica. Ecco: accetterei, con riserve, questo. Quello che non accetto è che si sparino delle balle per promuovere una causa. Cioè: non possono dire che i femminicidi sono aumentati quando invece sono calati, e quando il tasso di quelli italiani è tra i più bassi d’Europa. Non possono descriverlo come il retaggio di un’eredita arcaica – tipicamente meridionale – quando invece le uccisioni di donne sono più frequenti nel Nord. Una verità inservibile è questa: più un Paese è evoluto e più gli omicidi di uomini e donne tendono a equivalersi. Una verità indicibile invece è quest’altra: abbiamo il tasso di omicidi più basso della storia d’Italia, ma il tasso di omicidi in famiglia – laddove le donne sono uccise con maggiore frequenza – resta costante. Femminicidio si può dire. Familicidio no.