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 2016  giugno 01 Mercoledì calendario

Gli italiani credono a qualunque bufala si racconti al bar

Una ricerca dell’istituto inglese Ipsos Mori, ripresa dall’Espresso, dimostra che gli italiani sono il popolo più disinformato d’Europa, infatti crede a qualunque bufala si racconti al bar. La più grossa riguarda gli immigrati: questi, per la maggioranza degli intervistati italiani, rappresenterebbero ormai il 30% della popolazione (in realtà sono il 7) e per il 20% sarebbero musulmani (mentre sono appena il 4). I principali colpevoli sono naturalmente il web, che diffonde patacche a piene mani, e quei politici che usano l’immigrazione come arma contundente per sgraffignare voti a buon mercato. La cosiddetta informazione rilancia le loro menzogne invece di smentirle, perché è legata mani e piedi alla politica. Dunque, ben che vada, fa quel che ieri raccontava Furio Colombo: se parla il Papa, per par condicio, poi parla Salvini. E pazienza se il Papa dice cose vere e Salvini conta frottole. Verità e bugie, nel pastone o panino dei tg, sono sullo stesso piano: i fatti, i dati, la realtà non contano niente perché nessun giornalista si permette di rammentarli. Se no poi i partiti strillano e lui perde il posto.
Quindi ha ragione Renzi (capita, a volte, persino a lui) a definire “meschino” chi (uno a caso: Salvini) straparla di “invasione” dei migranti per un pugno di voti. Ma non può cavarsela con così poco: il premier dovrebbe anche domandarsi come mai tanta gente è convinta che i migranti ci stanno invadendo. Se lo facesse, dovrebbe ammettere che la propaganda leghista e le tv che la rilanciano non basta a spiegare la leggenda metropolitana. C’è un di più che interpella il suo governo. Se molti credono che i migranti siano troppi è perché, al di là delle statistiche, troppi migranti bighellonano e mendicano per le strade delle nostre città, soprattutto nei quartieri popolari, in preda alla solita guerra tra poveri. Quindi, anche se sono relativamente pochi, si notano molto. E ciò è dovuto al nostro disordine normativo e organizzativo. Se i migranti venissero tutti identificati, e non lasciati andare nella speranza che trasmigrino in qualche altro paese; se fossero obbligati a frequentare scuole di lingua e di Costituzione italiana, ma anche di formazione professionale; se venissero impiegati in lavoretti di piccola manutenzione e pulizia; se insomma non bivaccassero accanto o dentro le stazioni, nei giardinetti, nelle piazze di spaccio, si noterebbero di meno e finirebbero più difficilmente nelle grinfie di italiani senza scrupoli a caccia di manodopera sottocosto e a nero.
Lasciamo per un momento da parte l’annosa questione delle espulsioni dei clandestini e dei migranti “economici” che non hanno diritto di asilo e andrebbero espulsi (ma noi ce ne guardiamo bene, perché siamo disorganizzati, non abbiamo i soldi né i mezzi né gli accordi con molti paesi di provenienza). E limitiamoci a chi il diritto di asilo ce l’ha o potrebbe averlo, anche se impiega due anni per vederselo riconosciuto. Nell’attesa li teniamo nei Cie, che però possono ospitare solo un ventesimo del necessario (7 mila posti contro 150 mila sbarchi all’anno), dunque la stragrande maggioranza se ne va in giro indisturbata e incontrollata.
Tutto inevitabile? Mica tanto. Tra il 2015 e la prima metà del 2016 la Germania ha accolto circa 1 milione e mezzo di profughi dall’Asia: dieci volte quanti ne sbarcano in tutto ogni anno in Italia. Il 40% sono siriani, il 14 afghani, l’11 iracheni, e poi albanesi, kosovari, iraniani, pachistani, eritrei, serbi e macedoni (compresi cioè quelli fuggiti da paesi non formalmente in guerra, ma comunque in condizioni difficili). Il governo Merkel – come racconta Andrea d’Addio in un bel reportage su Panorama – ha subito stanziato 16 miliardi per il 2016, che saliranno a 93,6 nel 2020, per accoglierli e integrarli: scuole, sanità, sussidi, case, ostelli, trasporti, assicurazioni. Cioè per trasformare un’emergenza umanitaria in una grande opportunità di lavoro, sviluppo economico e sociale, benessere per tutti: tedeschi e nuovi arrivati. Ciascun profugo, anche prima dell’esame della domanda d’asilo, riceve un assegno mensile di 150 euro, un posto per dormire in apposite strutture, un corso di lingua tedesca e uno di formazione professionale. E può aprirsi un conto in banca. Niente soldi a chi non studia e, intanto, non accetta lavoretti retribuiti, anche di breve durata.
Quando poi l’immigrato ha raggiunto una discreta conoscenza del tedesco, viene inserito in un programma triennale presso aziende convenzionate con lo Stato o i Länder (le regioni), e alla fine riceve un certificato di abilitazione a svolgere varie professioni, dal meccanico all’autista al parrucchiere. Se poi la domanda di asilo viene accolta, ritira il passaporto valido per 5 anni e ha gli stessi diritti di ogni cittadino europeo. Se la richiesta viene respinta, non scatta subito l’espulsione: chi, rientrando nel suo paese, rischia ritorsioni per averlo lasciato può restare in Germania con un documento di “diritto di soggiorno”. Il governo prevede che, con questo doppio binario, il 55% dei migranti troverà un lavoro entro il 2020.
Noi, intanto, ancora dobbiamo sentire quel genio del cosiddetto ministro Angelino Alfano sproloquiare di hot spot in alto mare e simili baggianate. Ma, se l’alternativa è tra il fermare i migranti al largo delle coste (sempreché non affoghino prima) e il fingere di identificarli per tenerli un po’ nei Cie e poi aprirgli le porte per dargli il largo, allora ha buon gioco Salvini. E hanno perfino ragione quelli che credono alla bufala dell’“invasione”. Sempre in attesa, se non di una Merkel, almeno di un governo un po’ più serio.