Il Sole 24 Ore, 1 giugno 2016
L’Europa ha troppa paura di condividere i rischi
Il vero risk sharing, la condivisione totale dei rischi, nell’Eurozona non esiste. Oltre la moneta unica, la politica monetaria unica – Omts incluse ma Qe escluso! – e il Meccanismo di Stabilità Europeo, non si è andati. Il Governatore Visco nelle sue Considerazioni e il “librone” della Relazione Annuale della Banca d’Italia cercano il risk sharing in qualsiasi forma e non lo trovano, oppure quel poco che riescono a intercettare, è “modesto”.
La forma più visibile di condivisione dei rischi nell’area dell’euro è quella dell’Esm: in effetti tutti gli Stati membri hanno partecipato al capitale del fondo (non più con le garanzie come nel caso del primo fondo salva-Stati Efsf ora inattivo per nuovi aiuti) attraverso il calcolo della capital key, il peso del proprio Pil e della popolazione. La potenza di fuoco residua dell’Esm è però ora limitata a poco meno di 400 miliardi: il limite deriva non solo dal capitale ma anche dal fatto che il raggio di azione del fondo è stato ampliato con la capacità di ricapitalizzare direttamente le banche dopo l’applicazione del bail-in.
Il Fondo di risoluzione unico delle banche, il secondo pilastro dell’Unione bancaria finanziato dalle stesse banche dei Paesi partecipanti (una forma di risk sharing privato), realizzzerà la sua piena mutualizzazione delle risorse solo a partire dal 2023, si legge nella Relazione: esistono al momento reti di sicurezza capaci di gestire uno shock bancario di grande portata tra il 2016 e il 2023? E anche in seguito, resta da vedere se le banche siano in grado di salvarsi tra di loro prima che scatti il disastro sistemico, la fuga dai depositi, la crisi di fiducia. Non c’è ancora un accordo su un sistema di sostegno finanziario comune (backstop) nel caso in cui le risorse di fonte bancaria del Fondo si rivelino insufficienti.
Manca poi il sistema unico di garanzia dei depositi (terzo pilastro dell’Unione bancaria), che comunque prevede una sua piena operatività a partire dal 2024. Per il secondo e terzo pilastro, Visco sottolinea l’assenza di un sostegno finanziario pubblico europeo, “indispensabile per assicurare la stabilità sistemica”.
Il risk sharing sulle banche è almeno tollerato. Ma quando si esce dall’ambito dell’Unione bancaria per entrare in quello dell’Unione fiscale, la condivisione del rischio appare fantascienza. “L’introduzione e la piena condivisione degli strumenti sovranazionali segnano un ritardo”, ammonisce Visco. Non c’è Unione fiscale, non esiste un “bilancio condiviso” tra i 19. La creazione di strumenti di debito comuni, come gli eurobond che potrebbero finanziare le grandi opere infrastrutturali europee oppure il costo dell’emergenza immigrazione, è rimasta al palo. E non si sono fatti progressi sul progetto di un trattamento unico dei debiti nazionali preesistenti, “nella prospettiva di un debito unico dell’area” come incalza il governatore. Non sono state assegnate risorse dedicate o nuove capital key per stabilire come creare un fondo in cui far confluire parte dei debiti sovrani nazionali: mentre invece si è prontamente trovato il modo di non applicare il risk sharing nel Qe della Bce, in quanto le banche centrali nazionali dell’Eurosistema si tengono in pancia la maggior parte dei titoli di Stato acquistati e del proprio Paese.
Che il cammino verso gli Stati Uniti d’Europa sarebbe stato lento, e pieno di ostacoli e resistenze, lo si sapeva. Altra cosa però è la consapevolezza che può venire soltanto dopo la Grende Crisi: la sopravvivenza dell’euro è garantita se gli Stati membri dell’Eurozona saranno in grado, con scudi adeguati, di proteggersi contro nuovi Grandi Shock economici, bancari, finanziari, naturali, politici o geopolitici.