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 2016  giugno 01 Mercoledì calendario

Com’è possibile che siano aumentati sia gli occupati che i disoccupati? La verità è che sono calati gli inattivi. Gli scoraggiati sono di nuovo in cerca di lavoro

Un mercato del lavoro segnato dal paradosso, in perfetto equilibrio tra un’opinione e un fatto e il suo contrario. Resta così in bilico l’esame dei dati Istat sull’occupazione e sul Jobs Act, ma la stessa sorte tocca ai voucher, che il rinvio al prossimo Consiglio dei ministri correggerà, ma non risolverà. È il paradosso dell’altalena. Si colpiranno quei buoni lavoro che, usciti da ogni controllo, sono stati distrutti da inaccettabili abusi: nel 2015 sono stati venduti 115 milioni di voucher, nel 2010 erano meno di 10 milioni. Qui il paradosso diventa teorema. I voucher sono scappati di mano non all’origine (2008) ma dal 2012 con la legge 92, che ne ha allargato l’uso a tutti i settori, privati e pubblici. Così siamo arrivati a superare i 300 milioni di buoni, per un controvalore di oltre 3 miliardi e più di 1,7 milioni di lavoratori coinvolti; un canale alternativo e pericoloso, infiltrato non solo da usi distorti ma ridotto a foglia di fico da mafie e camorre. Lo si coglie dalla differenza tra voucher acquistati e voucher riscossi, che si discosta almeno di un terzo (il 63,8% nel 2015), un giochetto che usa lo strumento in zona Cesarini, poche ore prima che gli ispettori del lavoro scoprano il trucco. Ora il paradosso: con il probabile ripristino di controlli rigidi e tracciabilità immediata, i voucher, nati per stroncare il lavoro nero ed estesi a tutti, rischiano di bloccarsi, rialimentando nuove sacche di lavoro nero e irregolare. 
La soluzione sarà forse la riduzione dell’erga omnes e il ritorno alla selettività di settori e percettori. Il secondo paradosso si annida nei dati Istat sull’occupazione, dove si scopre che ad aprile su marzo sono aumentati sia gli occupati (51 mila in più) sia i disoccupati (50 mila in più). Come è possibile? La risposta è nel calo degli inattivi (coloro che non lavorano e non cercano lavoro), ridottisi in un mese di 113 mila unità. Significa che è in aumento l’offerta di lavoro da parte di persone scoraggiate, che avvertono una maggiore fiducia nella possibilità di trovare un’occupazione a cui avevano rinunciato. Il fenomeno è ancor più evidente nell’arco di un anno: da aprile 2015 ad aprile 2016 il bacino degli inattivi si è svuotato di 292 mila persone, quasi lo stesso numero di posti di lavoro permanenti creati nello stesso periodo di tempo (279 mila). Se la speranza è l’ultima a morire, non lo è per le donne senza lavoro, che da marzo ad aprile hanno visto crescere il loro esercito di altre 56 mila disoccupate, e non lo è neanche per i giovani: qui il paradosso è duplice, perché da marzo ad aprile sale il tasso di disoccupazione tra 15 e 24 anni (che torna al 36,9%), ma negli ultimi tre mesi sale il tasso di occupazione (+ 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti) e scende quello di disoccupazione (-1,3%). A complicare l’apparente rebus si può dire che in un mese i giovani perdono, soprattutto tra 25 e 34 anni (-0,3%), mentre gli over 50 vincono, registrando un +0,7% di tasso di occupazione. Dovrebbe essere il contrario, ma sappiamo che tutto dipende dall’ultima riforma previdenziale, che trattiene le persone più anziane sui luoghi di lavoro e di fatto ne tiene fuori i giovani. 
L’ultimo paradosso sta in un’altra contemporaneità: l’accordo positivo per Almaviva, che salva 3 mila posti di lavoro nei call center con nuovi ammortizzatori per i prossimi 18 mesi, in cui si cercheranno commesse o ricollocazioni; oscurato dai ritardi dell’Anpal, l’agenzia per le nuove politiche attive del lavoro, che deve proprio coordinare ammortizzatori e ricollocazioni, alla quale vengono assegnati nuovi poteri sulla carta, ma che è ancora lontana dal decollo e dall’operatività.