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 2016  giugno 01 Mercoledì calendario

Schettino non è più uno spaccone, ora fa il bravo marito pentito, tutto casa e chiesa. La nuova vita di «Capitan codardo»

Addio alla versione guascona e piaciona del comandante Francesco Schettino abbronzato e sorridente ai party in villa ad Ischia con le «dame bianche» o sulle copertine dei rotocalchi, abbracciato all’ultima fiamma romana. Adesso, grazie anche all’affetto della figlia ventenne, è tutto casa e famiglia. Le scorribande sentimentali, dalla ballerina moldava Domnnica con lui sul plancia al momento del naufragio, alla giornalista a cui professava «amore eterno», sono solo un pallido ricordo. 
Il riavvicinamento alla moglie, al di là delle personali e private ragioni del cuore, segna comunque una svolta che si inquadra in un particolare momento giudiziario. Pochi mesi dopo la condanna di primo grado, a febbraio dello scorso anno, Francesco Schettino ha dismesso i panni da spaccone per indossare quelli più tranquilli di marito. Forse il fantasma del carcere ha contribuito a riannodare i legami familiari, alla ricerca di un porto sicuro dove sentirsi protetto, al riparo da polemiche e dall’ansia per la possibilità di finire dietro le sbarre. 
Perché se è vero che fino al verdetto definitivo della Cassazione, resta aperta l’ipotesi di un’assoluzione o di una condanna inferiore ai tre anni (che gli eviterebbe la prigione), altrettanto delineata è la sua immagine. «Per gli italiani Schettino è sinonimo di codardo» ha tuonato alla Corte d’Appello di Firenze il procuratore generale Giancarlo Ferrucci. «Capitan codardo» è l’appellativo con cui il comandante viene abitualmente apostrofato sui social media. Codardo e sbruffone. E se il primo aggettivo affonda le radici nell’abbandono della nave quella maledetta notte del naufragio, al secondo ha molto contribuito il suo atteggiamento antecedente alla metamorfosi che lo ha trasformato in un uomo prudente e riservato. Quello che oggi appare come un marito tornato sui propri passi è lo stesso che al termine di un’udienza del processo di primo grado, salutò una giornalista dicendole «Preferisce l’inchino o il baciamano?». 
Un’ironia declinata al noir, se si considera che l’inchino della «sua» Concordia davanti all’isola del Giglio costò la vita a 32 persone, più i due sub periti durante la rimozione della nave. Ma Schettino è, anzi era, fatto così. Irrefrenabile. Come quando, nel febbraio 2014 durante un sopralluogo sul relitto si lanciò in selfie e foto ricordo. «Inquadrami bene mi raccomando, che si veda chiaramente il ponte della nave» chiese al suo avvocato, si tolse il giubbotto di pelle stile Fonzie, l’elmetto di sicurezza e si fece fotografare in pompa magna. E chissà se le sue risate erano un modo per esorcizzare il dramma del naufragio o la banale conferma del suo narcisismo. «Mi dipingono come un latin lover, ma io sono e sarò sempre un comandante». Talmente convinto della bontà delle sue azioni da averci scritto un libro, «Le verità sommerse», i cui proventi sono destinati a borse di studio sulla sicurezza in mare. Proprio come super esperto fu chiamato a tenere una lezione alla Sapienza sulla «gestione del panico». Proprio lui che se l’era data a gambe levate dalla Concordia tanto da rimediarsi l’ordine perentorio del comandante Gregorio De Falco – «Salga a bordo, c....» – che fece il giro del mondo. Anche quell’episodio scatenò l’ira dei social, e non solo. Il professore che lo aveva invitato venne sospeso. Schettino reagì con sufficienza. La stessa che manifestò durante le dichiarazioni spontanee al temine del processo di primo grado: «Grazie al mio caso, hanno migliorato la sicurezza nelle navigazioni». 
Ma queste sono scene di un vecchio copione, ora il nuovo Schettino, sta rintanato nella sua casa di Meta di Sorrento, protetto, oltre che dalla famiglia dai concittadini. I commenti stizziti su Domnica nel foyer e alla buvette, dentro il Teatro Moderno di Grosseto dove si svolse il processo di primo grado, non sono che un ricordo sbiadito.