La Stampa, 1 giugno 2016
Anche la Corte d’appello condanna Schettino a sedici anni: «Speriamo che mi credano i giudici della Cassazione. Io comunque sono qua, non scappo»
Nessun colpo di scena, nessuna sorpresa. Francesco Schettino resta condannato a 16 anni di reclusione e 1 mese di arresto (quest’ultima è un’ammenda per l’omessa comunicazione alle autorità) per il naufragio della Costa Concordia in cui morirono 32 persone. Lo ha deciso ieri alle 20.30, sera, dopo 8 ore mezzo di Camera di consiglio (un’ora in più rispetto al primo grado) la prima sezione della corte d’appello di Firenze, presieduta da Grazia D’Onofrio, che ha aggiunto inoltre l’interdizione dei titoli professionali.
E com’era già accaduto alla prima sentenza, l’11 febbraio 2015, anche ieri sera Schettino non era presente in aula al momento della lettura del verdetto. Era nella sua casa a Meta di Sorrento. E stavolta non lo ha potuto neppure apprendere in diretta dalla televisione perché i giudici si sono opposti alla presenza delle telecamere (in linea con il difensore Donato Laino) suscitando le proteste dei sindacati dei giornalisti, Fnsi e Usigrai. Schettino è stato dunque informato al telefono dal suo avvocato. «Sono innocente, io penso a quelle 32 vittime ogni giorno che passa. Speriamo che mi credano i giudici della Cassazione. Io comunque sono qua, non scappo». A dimostrazione della sua integrità, nel pomeriggio il comandante aveva comunicato all’avvocato Laino (che lo difende con il collega Saverio Senese) di volersi presentare ai carabinieri. Ma il legale lo ha dissuaso dal farlo, tanto più che l’arresto scatta solo quando la pena è definitiva per effetto della Suprema Corte.
Schettino rimane per ora colpevole dei reati contestati già in primo grado: omicidio colposo plurimo, abbandono nave, abbandono di incapace e false comunicazioni alla capitaneria di porto. Il sostituto procuratore generale Giancarlo Ferrucci aveva chiesto 27 anni e 3 mesi. I difensori hanno provato a ribaltare o quanto meno ad alleggerire la condanna, arrivando anche a chiedere la riapertura del dibattimento, ma i giudici non hanno tenuto conto delle loro considerazioni. Non hanno cioè creduto alla tesi che gli ufficiali della nave non avrebbero aiutato il comandante in plancia né al fatto che all’origine dell’incidente, la notte del 13 gennaio 2012 dopo «l’inchino» davanti all’isola del Giglio, ci fosse l’errore del timoniere indonesiano, Jacob Rusli Bin.
E a nulla è servita la linea low profile di Schettino di non presenziare alle udienze per non diventare il centro dell’attenzione.
I giudici di Firenze hanno inoltre rideterminato le quote di risarcimento danni per i naufraghi, aumentandole di circa 15 mila euro a persona. «Positivo questo riconoscimento – osserva l’avvocato di parte civile Michelina Suriano – anche se non ancora sufficiente a ripagare i sopravvissuti per le sofferenze subite». E se sui volti della pubblica accusa (presenti anche i pm di Grosseto Alessandro Leopizzi e Maria Navarro) è visibile la soddisfazione, l’avvocato Laino non nasconde l’amarezza: «Leggeremo attentamente le motivazioni per capire perché non ci hanno creduto. Ma per noi è importante avere la coscienza a posto».