la Repubblica, 1 giugno 2016
Quello che vidi il 2 giugno
Caro Augias, il prossimo 2 giugno la Repubblica Italiana compirà 70 anni, sono una bella età non c’è che dire, le rughe cominciano ad essere profonde, il passo meno sicuro. Ho anch’io un’età simile e ricordo numerosi compleanni con il rituale previsto: la sfilata dei soldati a Roma con le frecce tricolori, la corona d’alloro all’altare della patria, ricordo un dettaglio: il 2 giugno i militari cambiano uniforme passando da quella invernale a quella estiva. E poi il ricevimento nei giardini del Quirinale. Insomma ricordo molte cose ed è bene che una Repubblica abbia un suo cerimoniale che si ripete e dà un connotato riconoscibile all’idea di Stato. Di una cosa non sono mai stato certo: quanto gli italiani, la maggioranza degli italiani, abbiamo imparato ad apprezzare l’idea di essere cittadini di una repubblica che vuol dire la cosa pubblica cioè la cosa di tutti. Alle volte mi chiedo se qualcuno o molti non preferirebbero ancora oggi che in quel 2 giugno di settant’anni fa avesse vinto la monarchia.
Lettera firmata – Roma
Credo di poter rassicurare il lettore almeno sull’ultimo punto. Ritengo che siano trascurabile minoranza gli italiani che preferirebbero vivere oggi sotto una monarchia per almeno un paio di ragioni, una di buona lega, l’altra un po’ meno. La prima è che gli ultimi eredi Savoia hanno dato una così mediocre prova di sé da far ritenere di gran lunga preferibile il più modesto o molesto degli uomini politici; nessuno di loro è lì per ragioni ereditarie quindi prima o poi torna a casa mentre un cattivo re siede sul trono a vita. Ci vollero la sconfitta e la fuga per far abdicare un re come Vittorio Emanuele III, pessimo fin dall’inizio, sgradevole d’aspetto e di cattivo carattere. L’altra opinabile ragione è che non mi pare che la scelta del 1946 passi più per la testa a qualcuno. Dibattere dopo settant’anni su Monarchia o Repubblica implicherebbe passione accesa per le istituzioni e la politica, confronto di valori e di uomini, scelte di vita – non mi pare aria. La Repubblica è li per restare anche se non siamo stati capaci di metterne l’idea al centro della nostra identità nazionale. Allo stesso modo sono lì per restare le istituzioni democratiche nate nei mesi successivi. In sette decenni, il più subdolo tentativo di lederle è stato quello di Berlusconi attento soprattutto ai suoi interessi personali. Nemmeno lui però è riuscito a fare granché, qualche sfregio, piccole ferite. Nel 1946 avevo undici anni, ho un piccolo ricordo. Nei pressi di casa mia (Porta Latina, Roma) c’era una sede del partito repubblicano con molto materiale di propaganda: manifesti, volantini, opuscoli. La sera dopo i risultati, il materiale rimasto venne ammucchiato al centro di uno spiazzo e dato alle fiamme. Intorno al falò uomini e donne fecero una specie di danza caotica accompagnata da battimani e grida di gioia. Fu la prima manifestazione di tripudio collettivo alla quale ho assistito. Col senno di poi ho pensato – chissà se a ragione – che le ragazze festeggiassero il fatto d’aver contribuito loro, per la prima volta, alla scelta repubblicana. Oggi pochi ci pensano ma, tra i segni del cambiamento, fu quello uno dei più importanti.