Corriere della Sera, 31 maggio 2016
Giaccherini o il piacere di essere sottovalutato
Emanuele Giaccherini, oggi nasce la Nazionale per l’Europeo: zittire gli scettici sarà una motivazione extra?
«Sì, ci deve dare ancora più spinta. Non abbiamo i grandi campioni del passato, ma la cosa più importante è essere una squadra, in cui tutti si aiutano e ognuno sa cosa deve fare. Questa può essere la nostra forza».
Basterà?
«Sappiamo che non siamo i favoriti, ma si può vincere anche senza partire favoriti».
Il paragone coi campioni d’Inghilterra del Leicester è riduttivo per una Nazionale con la nostra storia?
«No, deve essere d’esempio anche per noi. Siamo l’Italia e dobbiamo pensare a vincere. Ma in questo momento la storia è alle spalle e siamo un gradino sotto le altre. Proprio per questo, come la squadra di Ranieri, dobbiamo andare oltre le qualità tecniche: dobbiamo correre più degli altri e fare la differenza con la nostra organizzazione tattica».
Il Bologna l’ha rilanciata, eppure lei è del Sunderland. Che fa?
«Voglio e spero di rimanere a Bologna: è qua che se sono tornato su certi livelli».
Quando la Juve la vendette in Premier, Conte si arrabbiò molto. Ricorda?
«Sì. Mi riteneva importante: sono contento di avergli dato tanto e spero di farlo ancora».
Da «contiano» di ferro, gode di vantaggi?
«No, lui non guarda in faccia nessuno. L’importante è fare quello che dice e dare sempre il massimo. Conte tira fuori più del 100% da qualsiasi giocatore, riuscendo a valorizzare quello che ha a disposizione».
Calciatore senza milza: come si fa?
«Devo fare tre vaccini all’anno, per le difese immunitarie. La milza me l’hanno tolta a 15 anni, dopo uno scontro con un portiere».
Nel 2008, quando era ai margini del Cesena in C, dove ha trovato la forza per non mollare?
«Avevo quasi mollato, non vedevo una via d’uscita. Ma ho voluto provarci fino in fondo per non deludere quelli che hanno sempre creduto in me. Un’amichevole estiva, con Bisoli in panchina, mi ha cambiato la vita».
Se è riuscito a rivendere la sua Fiesta da 250 mila km vuol dire che è un tipo affidabile, non crede?
«Sì, ci tenevo molto. La presi da mio padre già con 70 mila km. Mi ha accompagnato nella mia scalata tra Bellaria e Pavia».
Le dà mai fastidio lo stile di vita di alcuni colleghi?
«Penso che i giocatori siano dei privilegiati e solo chi si rende conto di esserlo è una persona vera, con dei valori. Detto questo, al di là degli stereotipi, ci sono tanti ragazzi che danno importanza a quello che conta davvero».
Se le diciamo che lei è un simbolo dell’Italia operaia è d’accordo o storce il naso, dato che viene da una famiglia che conosce il lavoro in fabbrica?
«Io ringrazio la gavetta che ho fatto, perché so bene da dove vengo e quello che ero. Mi sento una persona pulita, semplice, che nella vita ha avuto la fortuna di saper giocare a calcio».
In fabbrica ci ha lavorato?
«Sì, a 16 anni ho fatto tre mesi estivi alla Mabo prefabbricati. Ho capito quello che non avrei voluto fare. Ma che avrei potuto fare se mi andava male nel calcio».
Come si cresce a Talla, provincia di Arezzo?
«Ci sono 1.000 abitanti, sembra un presepe. Da bambino andavo al fiume a tirare i sassi con gli amici. È un po’ fuori dal mondo, la vita è rimasta anni indietro. È un paese umile, abitato da operai, muratori e contadini, che ti dà tanti valori. Lì mi sono fatto la casa, per tornare con mia moglie e le mie figlie quando smetterò».
Si è mai sentito sottovalutato?
«Mi piace esserlo, quello che faccio risalta di più. Ma in Italia quelli sottostimati sono tanti. Proprio Conte alla Juve mi ribattezzò Giaccherinho, per sottolineare che gli stranieri da noi hanno più importanza degli italiani».
È un male?
«Sì. Il nostro calcio ha bisogno di una sterzata. Bisogna chiudere le frontiere nel pallone e fare qualcosa per i nostri giovani».
Non è che i nostri ragazzi sono meno pronti?
«L’Italia ha sempre sfornato tanti giovani, ma gli stranieri costano meno».
Lei, come altri, da ragazzo fu scartato da tante squadre. C’è un difetto nei talent scout?
«Può darsi. Ero visto come uno troppo basso, senza futuro. La mia storia può insegnare che l’altezza non conta: il calcio non è il basket».
Gli avversari la provocano sulla sua statura?
«Prima di andare in Premier qualche segnale c’era stato. Ultimamente sono più rispettato».
Anche l’Italia è sottovalutata?
«Meglio, così possiamo stupire. Francia, Germania, Spagna o Belgio hanno più qualità. Ma nelle partite secche tutto può succedere».
La sorprende l’involuzione di Balotelli?
«In giusta misura: Mario ha tanti colpi, ma se c’è da far fatica non è il top. Gli manca la voglia di lottare e di migliorarsi sempre: se avesse metà della fame che ha Zaza...».
Che avversario le piacerebbe affrontare?
«La Francia, che gioca in casa: vincere sarebbe ancora più bello».
E tra le stelle del torneo?
«Ronaldo. Ma spero che anche nell’Italia ci possa essere una grande sorpresa».
Chi può essere?
«La nostra forza sarà la fase difensiva. Ma abbiamo giovani di talento, come Insigne e Bernardeschi. Poi se Pellé o Eder fanno 5 gol va benissimo. L’importante è che tutti diano tutto quello che possono dare. E anche di più».
Paolo Tomaselli