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 2016  maggio 28 Sabato calendario

Scegliere la cinquina finale del Premio Campiello è stato complicato

«Si scrive molto, si legge poco». «Romanzi consolatori». «Linguaggio da giornalismo corrosivo…». E si potrebbe andare oltre nelle citazioni delle parole pronunciate da alcuni giurati del Premio Campiello, 54esima edizione, convocati ieri mattina nell’aula magna dell’Università di Padova per scegliere, in seduta pubblica, le cinque opere finaliste del Premio fondato dagli industriali veneti. Erano 230 i volumi inviati dagli editori. Tanti. Troppi? Roberto Vecchioni, prof e cantante (una delle new entry in giuria), è andato con l’accetta, scartando subito – ammetteva – quelli che non toccano le sue corde. Ne ha salvati quindici, privilegiando il fattore emozione. Dunque, atmosfera effervescente, sul filo della polemica.
Stefano Zecchi, per la prima volta nella giuria dei Letterati, ha affermato che «occorre rinnovare la formula, immettere energie nuove, cambiando lo Statuto». In verità, a parte qualche membro di lungo corso, il rinnovamento graduale c’è. E il presidente cambia ogni anno. Per l’edizione 2016 la scelta è caduta sullo storico Ernesto Galli della Loggia. «Tendenzialmente sarei portato a considerare i romanzi più affini alla mia formazione, tuttavia nell’esprimere i giudizi ho tenuto conto dei potenziali lettori di narrativa», osservava. Da Ermanno Paccagnini, invece, una stoccatina verso le «fastidiose telefonate e i messaggi di segnalazione ai giurati, in favore di questo e quell’altro autore».
Ma veniamo alla cinquina. Per trovare un accordo sono occorsi otto votazioni e due ballottaggi. Iter contrastato fino all’ultimo. Fatta eccezione per il libro di Elisabetta Rasy Le regole del fuoco (Rizzoli), che ha riscosso subito larghi consensi. Il romanzo è ambientato durante la Prima guerra mondiale dove, in mezzo a orrori e paure, nasce e cresce l’amore fra due donne, al fronte per curare le ferite dei soldati. Gli altri finalisti: Simona Vinci con La prima verità (Einaudi). Protagonista una giovane donna alla ricerca del misterioso passato dei reclusi di un enorme lager di un’isola greca; Alessandro Bertante, autore de Gli ultimi ragazzi del secolo (Giunti). Qui c’è un viaggio compiuto nel luglio del 1996, in Croazia. Ma si va avanti fino a Mostar e Sarajevo sulle tracce di una guerra non ancora finita. E dentro c’è il racconto della generazione cresciuta negli anni Ottanta. Luca Doninelli passa con Le cose semplici (Bompiani). In estrema sintesi: Innamorarsi, perdersi e ritrovarsi. Passione e bisogno di verità. Infine, Andrea Tarabbia con Il giardino delle mosche (Ponte alle Grazie). Una storia tragica ambientata in Unione Sovietica, fra 1l 1978 e il 1990, quando il potere del Socialismo reale si scopre fragile e una certa visione del mondo si avvia al tramonto. Il vincitore del SuperCampiello si saprà il 10 settembre a Venezia, durante la finalissima al Gran teatro La Fenice. La decisione ultima spetta alla giuria popolare dei trecento lettori, come da regolamento.
Ma un vincitore assoluto c’è già. È l’autore dell’ Opera prima, scelta dalla giuria dei Letterati, La Teologia del cinghiale (Elliot Edizioni) di Gesuino Némus. Pseudonimo di Matteo Locci. «Romanzo saporosamente antropologico, in un’ambientazione subito presentata come “poco normale”, come del resto sono un po’ tutti i personaggi che vi si muovono». Gesuino Némus, (Nessuno), il protagonista e voce narrante, vive in Sardegna, in «una enclave a se stante». L’editore dell’opera è uno dei «piccoli», che, invece, non compaiono fra i romanzi dei finalisti. La cinquina quest’anno ha «premiato» la grande editoria. Lo ha rilevato il presidente della Loggia.