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 2016  maggio 30 Lunedì calendario

Ricordare Manganelli, l’inafferrabile

Quanti Manganelli conosciamo? C’è quello che si nasconde dietro alle leggende, alle autobiografie inventate, ai racconti di quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo o d’incontrarlo per caso. C’è il Manganelli milanese, che nell’adolescenza scriveva il suo primo racconto, su una casa bianca destinata a dissolversi, dopo la morte di una sua compagna di classe. Che si laureava con il massimo dei voti con una tesi, senza note a piè di pagina, dedicata alle dottrine politiche del Seicento italiano.
SULL’ALTARE
Che diceva «lo voglio!» davanti all’altare e agli occhi della sua futura moglie Fausta, per poi smentirsi qualche mese dopo, portando avanti una convivenza forzata da separati in casa. Quel Manganelli milanese che, dopo una relazione clandestina con una giovanissima Alda Merini, fuggendo sopra una lambretta nel 53, era pronto a diventare il Manganelli romano, destinato a prendere preso, a dilatarsi, a espandersi, a ingrassare notevolmente, a trovare nella pancia il luogo ideale dove nascondere i fantasmi materni e qualche relazione andata a male, a somigliare sempre di più a quello che Citati, un giorno, avrebbe definito un «malinconico tapiro». E proprio nella città eterna, una decina di anni dopo, sarebbe arrivato anche il Manganelli scrittore. «Nel ’64 è uscito il libro», diceva lui, parlando di Hilarotragoedia, «direi che, come tutti i precoci, sono un tardivo». Come racconta Patrizia Carrano nel suo bellissimo romanzo breve, Un ossimoro in lambretta (190 pagine, 13 euro), appena pubblicato dalla Italosvevo, il Manganelli romano era un tipo solitario, che saliva sull’autobus sperando che accanto a lui ci fosse solo il finestrino, che teneva tre Pinocchi vicino alla macchina da scrivere, che forse sceglieva i luoghi dove abitare in base alla loro musicalità: via Chinotto 8 interno 8, via Senafè piccola laterale di via Makallè.
GIORNALISTA
E insieme al critico letterario-saggista (La letteratura come menzogna, Angosce di stile, Laboriose inezie), al commentatore di un testo che non esiste (Nuovo commento), allo scrittore di classici paralleli (Pinocchio: un libro parallelo), al narratore (Centuria), al viaggiatore imprevedibile (Cina e altri orienti), c’è quello che oggi chiameremmo giornalista culturale. Tra i vari giornali, quotidiani e settimanali, quello in cui Manganelli si sente più libero, felice come uno «scolaretto cui si concede una inedita vacanza», è senz’altro il Messaggero.
BICCHIER D’ACQUA
La sua collaborazione con il quotidiano romano, come ci rivela Graziella Pulce in Giorgio Manganelli, Bibliografia (1942-2015), preziosa edizione aggiornata e pubblicata di recente da Artemide, è durata quattro anni, dal 1986 fino al 1990, l’anno della sua morte, per un totale di trecento pezzi. «Il perfetto corsivo», diceva Manganelli, «dovrebbe assomigliare a un bicchiere d’acqua gelida in un’ora di calura», e sul Messaggero rinfrescava gli occhi dei lettori parlando di tutto, dalle domeniche ecologiche alle ingiunzioni contro i vetturini, dai mille odori di Roma alle passeggiate di un imperatore smarrito in via del Tritone.
LETTORE
C’è il Manganelli lettore di professione, come testimoniano le lettere e le schede di lettura per Einaudi, Garzanti e Mondadori, raccolte in Estrosità rigorose di un consulente editoriale (332 pagine, 15 euro), pubblicato da Adelphi e curato da Salvatore Silvano Nigro. «È passabilmente divertente», scriveva di Burke, «avendo tempo da buttar via». «Narratrice decorosa» la Gordimer, di una «sciatteria casalinga» O’ Brien, «sottilmente cattivante» Il signore delle mosche. Dipendeva anche da Manganelli quello che avremmo letto un giorno, come se lui si trovasse a tu per tu con un libro, ancora poco conosciuto, e gli dicesse a bassa voce: Tu sì che hai la stoffa per diventare un classico!.
PSICANALISI
Un Manganelli sdoppiato, a pensarci bene, moltiplicato per mille, per altri infiniti Manganelli, da quando negli anni Cinquanta incontra Bernhard, psicanalista junghiano, che lo convince a non credere più nell’unicità dell’io. Se qualcuno di noi, un giorno, volesse imbattersi in un’impresa impossibile, quasi come le sue interviste, e cercasse di scrivere una biografia di Manganelli, potrebbe intitolarla Quel noi che sono io, come il titolo di un pezzo che scrisse su Oliver Sacks: «Il signor Sacks ha avuto una serie imponente di vite anteriori, nelle quali, sotto apparenze diverse, ha sempre fatto sostanzialmente lo stesso mestiere ciascuno di noi non è un io, è un noi; ma uno di questi noi, appunto, è l’irriducibile».