la Repubblica, 28 maggio 2016
Il successo pazzo e tardivo di Valeria Bruni Tedeschi. Intervista
«Ci sono film che anche se fanno piangere aprono il cuore in modo allegro». Valeria Bruni Tedeschi sintetizza così il successo in sala, 2milioni e 200mila euro in dieci giorni, di La pazza gioia di Paolo Virzì. Il ritratto di nobildonna priva di freni inibitori e col vizio di dire la verità consacra l’attrice come una delle interpreti più importanti del nostro cinema. Anche sceneggiatrice e regista, 51 anni pieni di bellezza, si racconta al telefono da Parigi dopo aver messo a nanna il secondogenito.
Cosa le è piaciuto del personaggio?
«La solitudine profonda, il disperato bisogno di essere amata. La cattiveria e la rabbia. Il bisogno di dire la verità, che la fa respingere dalla società. Non ha il filtro dell’ipocrisia. La frontiera tra me e lei è molto sottile».
Quello con Virzì è ormai un sodalizio.
«Sul set ho potuto sentirmi libera perché sapevo che Paolo mi accettava completamente. E mi sentivo libera anche dal punto di vista erotico, senza inibizioni e complessi. Non come nella vita reale. Questa libertà fisica ed emotiva è stata una giubilazione per me».
Il cinema non è stato il suo primo amore.
«La mia cultura e la mia passione iniziale è la letteratura. Da adolescente ero immersa nei libri, tentavo di scrivere, studiavo i testi. Poi mi sono resa conto che avevo voglia di viverli, quei testi. Ho scoperto il teatro e solo più tardi il cinema, a vent’anni».
I suoi film sono la autobiografia?
«Sì, ma lo sono anche quelli che non ho girato io. Quando recito per Bellocchio e Virzì, quando giro un documentario su un coreografo che lavora con i malati di Alzheimer. Mi identifico con le persone che filmo. Ha a che fare con l’universalità della vita».
Al suo fianco al cinema c’è spesso sua madre. Anche in “La pazza gioia”.
«Sì. Ha imparato le battute molto prima del set. È una pianista che ha scoperto a settant’anni che le piace fare l’attrice».
Sua madre ha detto che nell’autobiografia che ha pubblicato c’erano cose che lei e sua sorella Carla Bruni non conoscevate.
«Non ho letto il libro per scoprirvi segreti, ma per trovare bellezza. Il libro va al di là della autobiografia un po’ cheap. Ci sono momenti di letteratura, con una musica sua, originale, crudele, ironica. Mi impressiona che una donna di settant’anni abbia l’energia per scrivere un libro e la potenza di scrivere, lo dico umilmente, pagine così poetiche».
Sua madre è il suo modello?
«No, ma l’ammiro molto. Mi dà energia pensare a lei. All’insolenza con cui non presta attenzione all’età e va avanti. Al buon senso e l’umiltà con cui attraversa il dolore».
Cos’è per lei l’umorismo?
«Una bottiglia di ossigeno. Siamo morenti e grazie all’ossigeno sopravviviamo. È una questione vitale».
Qualcosa che ha a che fare con il proibito?
«A me piace ridere quando non ne ho diritto, ho un rapporto intenso con ciò che è proibito. Allora il riso diventa una questione erotica, molto fisica. Ho ricordi di risate proibite a scuola, in momenti importanti, tragici, scioccanti. Vedere la vita dalla prospettiva tragicomica è una vittoria».
Un episodio tragicomico della carriera?
«Avevo saputo di un ruolo per una ragazza dai capelli scuri. Comprai una parrucca sintetica e mi presentai all’audizione dicendo che era quello il mio colore. Poi venni a sapere che si vedeva un ciuffo di capelli biondi che spuntava dalla parrucca».
Che rapporto ha con la solitudine?
«È la nostra condizione profonda. Però ci sono piccoli ponti che possiamo avere con gli altri esseri umani. Tutti i legami, gli affetti si confondono nella mia testa. A volte mi sento la madre di una mia amica, la figlia di mia figlia, la sorella del mio fidanzato, il padre di mia madre. Tutti questi affetti danno senso alla vita».
La maternità? Lei ha adottato due bimbi.
«La vivo tardi nella vita. Ho avuto tempo di non pensarci, poi di pensarci, poi di desiderarlo, poi di pensare di non poterci arrivare. E poi di essere totalmente meravigliata, sempre, ogni giorno, di esserlo. La cosa più semplice da dire è che i bambini sono la grande allegria della vita».
Ha superato il complesso della ricchezza e gli altri che aveva nell’infanzia?
«No. Penso che non si supera mai niente. Si familiarizza, si accetta. Si impara a vivere con la propria infanzia, con le proprie paure. L’altro giorno ho chiesto a mia figlia se era ancora gelosa del suo fratellino, dopo un anno. Mi ha detto: “Mamma, faccio finta di non esserlo, ma queste sono cose che durano tutta la vita”. Uno fa finta, ci lavora, li esprime, ci fa dei film, ma non le supera. E io voglio restarvi legata».
Come si vive oggi a Parigi?
«C’è stato un grande shock. Ora c’è più calma, ma è una falsa calma. I problemi non sono risolti e le conseguenze riaffioreranno».
Come vede l’Italia?
«Da fuori sembra un momento migliore rispetto alla cappa di piombo dell’era berlusconiana. È importante rendersi conto anche dei piccoli miglioramenti, di un orizzonte appena più luminoso».