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 2016  maggio 28 Sabato calendario

Dopo il Dieselgate è caccia alle streghe nel settore auto

Il caso politico scoppiato in settimana tra il ministero dei Trasporti tedesco e quello italiano su un possibile Dieselgate in casa Fca  è indicativo di quale sia al momento il rapporto tra la borsa e i titoli del settore automobilistico. Lunedì scorso è bastata un’indiscrezione (non confermata) della Bild am Sonntag sull’utilizzo da parte di Fca  di un software sospettato di violare le norme sulle emissioni per far crollare in un solo giorno il titolo del Lingotto del 4,4%. «Sicuramente il feeling tra i grandi investitori e i titoli del comparto automobilistico non è al massimo in questo periodo», spiega il responsabile della sala operativa di una tra le maggiori banche di investimento nella City di Londra. «Sinora soltanto Volkswagen e Mitsubishi hanno ammesso di aver manipolato i dati sulle emissioni, ma la sensazione nelle sale operative, giusta o sbagliata che sia, è che da un momento all’altro possano uscire notizie del genere sul conto di altre case e noi dobbiamo stare molto attenti a prendere posizione sui titoli del comparto», continua il broker.

D’altronde che il feeling su queste azioni tenda al negativo è testimoniato anche da altri episodi accaduti ultimamente. Nella prima metà di maggio un report di Exane Bnp Paribas  ha parlato di possibile bolla del mercato statunitense. Il risultato è che il titolo Fca  ha perso il 6,7% in una sola seduta, mentre il giorno successivo le indiscrezioni su una possibile intesa strategica del Lingotto con i cinesi di Gac (che in teoria avrebbe risolto molti dei problemi di Fca, sempre alla ricerca di un partner) ha spinto il titolo non oltre il 5% prima che la notizia fosse smentita e la performance del titolo tornasse a livelli prossimi al sottozero. Sempre a metà maggio la casa automobilistica giapponese Suzuki (società che tra l’altro sino all’anno scorso era legata a Volkswagen tramite un incrocio azionario) ha ammesso di avere riscontrato discrepanze tra i test sulle emissioni e i consumi delle autovetture. E questo è bastato per far perdere al titolo più del 9% in una sola seduta di borsa, sebbene il gruppo abbia subito negato di avere deliberatamente alterato i dati per far apparire le automobili più efficienti di quanto fossero in realtà.
Soprattutto, però, è esemplificativo di questo trend il caso di Mitsubishi che in aprile ha ammesso di aver manomesso i dati di emissioni su alcuni dei suoi modelli. Il titolo della casa giapponese è precipitato immediatamente del 15%, bruciando in poche ore 1,2 miliardi di dollari di capitalizzazione. La società nipponica è entrata in uno stato di notevole difficoltà finanziaria. Al punto che qualche settimana dopo (a metà maggio e con la moral suasion del governo di Tokyo) l’alleanza Renault -Nissan è entrata nel capitale di Mitsubishi acquisendone il 34% per oltre 2 miliardi di dollari, nei fatti salvandola da una possibile insolvenza.

L’operazione Nissan-Mitsubishi, al di là della valenza in se stessa, ha segnato anche la prima acquisizione nel comparto diretta conseguenza di quello spettro che aleggia settore chiamato Dieselgate. Una minaccia che da quando si è palesata (a metà settembre del 2015 non solo ha squassato Volkswagen costringendo il colosso di Wolfsburg a sostituire l’ex ceo Martin Winterkorn con quello attuale, Matthias Mueller, e ad accantonare oltre 16 miliardi per far fronte a eventuali possibili risarcimenti in seguito alle cause in corso sulla questione. Ma ha anche affossato l’intero settore in borsa. Come evidenzia la tabella in pagina, infatti, tra i principali titoli del comparto ben pochi sono quelli che possono vantare un saldo positivo da quando lo scandalo sulle emissioni manipolate è scoppiato in tutta la sua imponenza.

In questo clima da caccia alle streghe, non va nemmeno sottaciuto il fatto che nel settore non sono in pochi a pensare che lo scandalo diventerà uno spartiacque per il futuro di un’industria che, come ama ripetere l’amministratore delegato di Fca  Sergio Marchionne ha assoluto bisogno di un nuovo round di consolidamento perché i player possano tornare a essere stabilmente redditizi. In particolare perché, secondo i tam tam del settore, attorno alle conseguenze del Dieselgate si stanno aggrovigliando sempre più numerose trame di natura politica. E questo potrebbe complicare ulteriormente l’intreccio tra industria e istituzioni dei Paesi coinvolti. Se infatti l’acquisto di Mitsubishi da parte di Renault -Nissan ha quantomeno avuto il benestare del governo di Tokyo, nel settore si vocifera che in qualche modo anche lo scoppio così violento dello scandalo Dieselgate a metà settembre del 2015 abbia avuto un coté politico. Nel senso che negli ambienti politici statunitensi molti avrebbero benedetto uno scandalo su Volkswagen, che voleva spingere in modo massiccio sul mercato americano la motorizzazione diesel (storicamente non in linea con le abitudini nordamericane).
Nello stesso modo, d’altronde, c’è che sostiene che non sembrano esenti da fattori politici anche i recenti attacchi del ministro tedesco Dobrint al Lingotto, quando la settimana scorsa ha accusato Marchionne di non essersi presentato a un incontro con le autorità di Berlino sul tema delle emissioni. Accuse che hanno ricevuto una risposta immediata sia da Fca  sia dall’omologo ministro italiano Graziano Delrio, il quale ha ricordato come le norme comunitarie impongono ai Paesi di produzione (nel caso di Fca  l’Italia) l’obbligo di controllare l’omologazione di nuove unità. L’escalation ha poi avuto un’altro step il giorno successivo alla risposta di Delrio, quando la Bild am Sonntag è uscita con le indiscrezioni sulla 500X di cui sopra, e a molti non è sfuggito come Fca  sia l’unica delle tra grandi case statunitensi (o parzialmente tali) che non abbia importanti interessi in Germania come la Opel e i suoi impianti di Ruesselsheim per General Motors e la Ford Europa nei pressi di Colonia nel caso della società dell’ovale blu.
In tutto questo rincorrersi di rumor e voci dal sen fuggite un risultato concreto c’è: le immatricolazioni di vetture diesel stanno calando anche in Europa. In aprile la percentuale di unità a gasolio vendute in Europa è calata al di sotto del 50% per la prima volta negli ultimi anni, cioè al 49,7% del totale. Nei primi quattro mesi del 2016, invece, la quota dei diesel si è attestata al 50,1%, in calo del 2,2% rispetto al periodo corrispondente dell’anno scorso. In particolare, la Spagna è stata la nazione che ha evidenziato il calo più forte (-6,8%), mentre in Italia la quota è rimasta stabile (-0,2%).