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 2016  maggio 28 Sabato calendario

Gli utili stellari del narcotraffico

Quando la bilancia della Giustizia non basta, ecco che la magistratura ricorre ai numeri per spiegare che la lotta al narcotraffico, così come viene condotta, porterà in breve allo stravolgimento sociale ed economico di un intero Paese, l’Italia, sulla scia di quanto accadrà in tutto il mondo.
Alla Dnaa (la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo) bastano 37 pagine – puntigliose, schiette e documentatissime, datate marzo 2016 – per mettere in fila le cifre di un dramma ignorato da politica e Legislatore. Una relazione che raggiunge l’apice quando il pool – composto da Francesco Curcio, Maria Vittoria De Simone, Luigi Spiezia e Francesco Mandoi – scrive che, senza una svolta, «la strada che stiamo percorrendo ci condurrà a sistemi economici e sociali nei quali, progressivamente, i beni e i servizi che acquisteremo, i supermercati dove andremo quotidianamente, i ristoranti e gli alberghi in cui ci recheremo con le famiglie, il lavoro che avremo, ci saranno, in larga parte, forniti dalla emanazione di associazioni criminali. In questa prospettiva, inoltre, per una qualsiasi persona onesta, mettersi sul mercato e iniziare una qualsiasi attività economica sarà come partecipare a una gara truccata, perché i concorrenti potranno lavorare in perdita, disponendo di liquidità gratuita e quasi illimitata». L’operazione che nelle scorse settimane ha portato alla confisca di una holding campana attiva nella gestione di molti ristoranti/pizzeria nelle vie di pregio del centro storico di Roma, avvalora plasticamente quanto afferma la Dnaa.
Numeri impressionanti
Se nei prossini prossimi sette anni sarà mantenuto il trend di crescita corrente, nel 2020 nel mondo ci saranno 350 milioni di consumatori di droga. Sui 250 milioni di consumatori attuali, quasi un quarto si concentra nella Ue (per Eurostat un europeo su quattro ha fatto uso nel corso della sua vita di sostanze stupefacenti) e nel Nord America e, dunque, si comprende come e perché le principali rotte del traffico non possono che avere come terminale le zone più ricche del pianeta.
Secondo Unodc (l’ufficio dell’Onu su droghe e crimine), il narcotraffico, a livello globale, rappresenta il più grande affare per il crimine transnazionale, con l’1% del Pil mondiale, cioè circa 560 miliardi di euro. Le stime sull’incidenza del narcotraffico sul Pil italiano, sempre secondo Unodc, oscillano fra lo 0,4% e il 3,9%, con un valore medio del 2,15 %, pari al valore dell’intera produzione agricola nazionale, ovvero a circa la metà dell’incidenza sul Pil nazionale dell’intera filiera produttiva e commerciale generata dal settore automobilistico (nazionale e no): dai produttori di parti meccaniche fino alla rete dei concessionari.
La catena degli utili
Il ciclo economico del narcotraffico ha una capacità di generare utili pari a quasi il 90% del suo fatturato complessivo, un dato che non ha eguali in alcun comparto economico.
Ciò vuol dire che ad ogni ciclo acquisto/trasporto/vendita di narcotici – detratti i reinvestimenti – il 90% circa del complessivo fatturato, essendo in surplus rispetto alle esigenze del commercio, viene necessariamente allocato in settori finanziari, economici e criminali che nulla hanno a che vedere con gli stupefacenti.
Tradotto in crudi numeri, a livello globale e avendo come parametro i dati sul fatturato del narcotraffico forniti da Unodc, i gruppi narcotrafficanti reinvestono nei più disparati settori, circa 460 miliardi di euro all’anno, con la conseguenza che negli ultimi 20 anni hanno accumulato investimenti che – ipotizzando prudentemente che non abbiano generato né guadagni ulteriori né perdite – gli consentono di controllare un patrimonio composto da titoli, immobili, aziende, che ammonta a circa 9.200 miliardi di euro. Circa sei volte il Pil italiano e circa il Pil cinese del 2013.
E seppure l’attività repressiva avesse colpito un ulteriore 10% di questi patrimoni, avremmo circa 8.300 miliardi di patrimoni mobiliari ed immobiliari in mano ai narcotrafficanti.
Il piano nazionale
Sul piano nazionale, considerando il fatturato di circa 30 miliardi di euro annui, detratti progressivamente un 10% di costi, un 10% di investimenti in altre attività criminali e un 10% dovuto all’attività repressiva dello Stato, le mafie narcotrafficanti reinvestono circa 20 miliardi di euro in attività finanziarie ed economiche diverse dal loro specifico settore. Negli ultimi 20 anni, dunque, questa filiera, attraverso attività di riciclaggio, ha consolidato un patrimonio, oramai “ripulito”, del valore complessivo di circa 400 miliardi di euro.
La rilassatezza dello Stato
Con il paragrafo dedicato alle droghe sintetiche la Dnaa – guidata da Franco Roberti – sviscera la complessiva sottovalutazione del fenomeno da parte di chi ha responsabilità nell’azione di contrasto.
In Europa nel 2013 (ultimo dato utile per un raffronto) sono state sequestrate 9 tonnellate fra amfetamine e metamfetamine ma in Italia, dove la diffusione è nella media europea, solo 14 kg (tre volte meno dell’anno precedente), cioè 650 volte meno del complessivo quantitativo sequestrato in Europa. «Si ha la netta evidenza – si legge nella relazione – che non solo gli inquirenti non abbiano neanche un’idea approssimativa dei circuiti criminali che governano questo settore, ma che la stessa normale azione di controllo, quella banale e di routine che si deve svolgere nei luoghi in cui è ovvio che vengano smerciate queste sostanze, è assolutamente carente».
In Italia le indagini sulle droghe sintetiche sono a zero ma, anche, all’anno zero, abituati come siano a badare solo al narcotraffico tradizionale. Ecco dunque che appare necessario una svolta radicale visto che, come spiega impietosamente la Dnaa, «nell’attuale situazione il sistema investigativo/repressivo non trova sufficienti stimoli ad autoriformarsi in quanto raggiunge comunque degli obiettivi».
Le riforme “minime”
Così, sul piano dell’innovazione delle prassi investigative, è necessario ampliare lo spettro delle attività d’intercettazione (anche grazie a una riforma che obblighi i gestori delle reti di comunicazione via pc, Google, Whatsapp, Facebook, ad avere una sede legale in Italia per evitare sfibranti e lunghissime rogatorie internazionali) verso il mondo delle professioni e della finanza, perché sono loro a spostare la fetta più grande dei miliardi. Queste attività andranno svolte in parallelo con quelle sul vero e proprio narcotraffico perché così sarà possibile cogliere le interazioni fra i due mondi. Le forze dell’ordine devono iniziare a conoscere ambienti nuovi (e, quindi, sia quelli delle droghe sintetiche che quelli ove si pratica il riciclaggio) e i salotti che gestiscono le transazioni finanziarie che si sviluppano parallelamente al traffico attraverso una rete d’informatori di rango più elevato che oggi non esiste. Fondamentale, continua la Dnaa, sarà rivitalizzare l’azione degli agenti sotto copertura, non solo nel tessuto che gestisce l’approvvigionamento dello stupefacente, ma anche in quell’area professionale e finanziaria.
Un impulso nuovo
La Procura nazionale – in questa nuova visione di contrasto al narcotraffico – vuole giocare da “prima punta” e non più da spalla. È però necessario che si metta mano ad alcuni istituti procedurali che – pur mantenendo intatta l’autonomia delle Dda nello svolgere le indagini – permettano alla Dnaa d’intervenire laddove ravvisi una vera e propria inerzia, avocando le indagini. Gli strumenti, si legge nella relazione, andrebbero integrati con la previsione di poteri nella gestione del sistema degli agenti sotto copertura, non solo verso gli organi giudiziari ma anche verso la polizia giudiziaria.
Senza dimenticare il rafforzamento dei ranghi. Tenuto conto che il numero totale dei pubblici ministeri addetti alle 26 Direzioni distrettuali antimafia è di 166 unità, a ciascun magistrato toccano tre nuovi procedimenti all’anno per il delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
Se non si cambia registro, insomma, l’economia e la società saranno narcotizzate. In tutti i sensi.