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 2016  maggio 27 Venerdì calendario

Simeone prima di diventare Simeone

La parola cholismo stavolta non c’è. Perché non esisteva ancora, né la parola né la mistica, quando Diego Simeone arrivò giovane giovane a Pisa, 1990, un ragazzo ingenuo, nelle foto d’epoca avvolto dentro un cappotto pesante, in piena estate italiana. «Lo soffiammo al Verona all’ultimo istante» racconta Adolfo Anconetani, il figlio di Romeo, presidente d’allora. Il giallista pisano Marco Malvaldi racconta in “Scacco alla torre” che il ragazzo giunse per vie, diciamo così, tortuose. «Dall’Argentina arrivò un fax con un elenco di giocatori non ancora ventenni. Informazioni a dir poco laconiche: foto, ruolo, altezza, peso». Anconetani puntò il dito su quei tratti da falso azteco e disse: voglio questo qua, mi garba, ha la faccia decisa. Adolfo smentisce che sia andata proprio così. «La verità è una: ce lo segnalò il procuratore Settembrini. In casa sua venivano a stare i parenti, tre mesi lo zio, tre mesi la mamma. Poi si ambientò, e lo fece così bene che divenne un birbantello. Un giorno era infortunato, scoprimmo che era andato a curarsi in discoteca. Lo cedemmo al Siviglia. Il Pisa non è la Juve, ma la disciplina è la stessa». Simeone torna spesso. Raggiunge a Tirrenia i suo amici più stretti, con alcuni di loro giocava a calcio all’epoca sotto anonimato, in squadre improbabili, tornei di provincia. A settembre Pisa vuole dargli il premio “Romeo Anconetani”. Lo aspettano. «Ha imparato da noi a giocare come Rocco. Per la serie A sarebbe perfetto. Ma non posso guardare dentro il portafogli di Thohir e Lotito, per sapere se Inter e Lazio possono permetterselo», dice Anconetani.
Simeone prima del cholismo era un ventisettenne che a Milano si dava anima e corpo al calcio. Lo ha ricordato Pagliuca, suo compagno all’Inter, al giornale spagnolo El Paìs: «Era il capitano senza fascia. Parlava di calcio ventiquattr’ore al giorno. Certe volte bisognava dirgli: Diego, ti va se parliamo un poco di ragazze?». Strano che un tipo così non si sia preso con Lippi. Meno eccentrico è che le cose siano finite maluccio con Ronaldo, più propenso alle distrazioni. Non ce ne furono neppure alla Lazio, fra il 1999 e il 2003, scudetto Coppa Supercoppa. «Nel vedere l’Atlético Madrid in campo», dice Giuseppe Pancaro, terzino di quella squadra, oggi allenatore emergente, «io rivedo in tutto e per tutto il Diego calciatore, il suo spirito, la sua incapacità di darsi per vinto, la forza di volontà». Era il Simeone che affrontava senza sudditanza il potente Cragnotti: «Il presidente ci critica? Dovrebbe venire a Formello e parlarci come un padre fa con un figlio». Anelka tratta con la Lazio, poi sceglie il Real e lui lo chiama «un debole, senza carattere». Sfida Capello: «Parla troppo». Smitizza l’idea che la partita con la Roma sia speciale: «Ma quale derby, pensiamo al Marsiglia e alla Champions». Sei mesi prima del Mondiale 2002 si rompe il crociato. Sulle scale di casa incolla un cartoncino con i 180 giorni che mancano al torneo. Un altro uguale lo attacca nella palestra dove fa riabilitazione. Una X sopra, un’altra, un’altra. I giorni spariscono tutti. Al Mondiale ovviamente ci va.
«A noi lo consigliò Cysterpiller», ricorda Giuseppe Bonanno, d.g. del Catania, il club che nel gennaio 2011 gli dà la prima panchina in Europa. «Ha una doppia anima, solo in campo la domenica dà l’idea di essere arrogante. Va in trance. Sa entrare nella testa dei giocatori. Veniva da un calcio diverso, fatto di uno-contro-uno. Qui da noi ha imparato la tattica: ma si vedeva che studiava da grande allenatore». Nove mesi dopo era a Madrid. Milano, domani, in fondo chiude un cerchio.