la Repubblica, 27 maggio 2016
Il sarto digitale sulla Strada della Lana
VALLE MOSSO (BIELLA)
Il sarto digitale è solo in apparenza una creatura ibrida. Egli non ha studiato pecore dal vello d’oro né capre da gran premio, ma si è laureato in ingegneria informatica. Non ha versato ettolitri di lacrime sulla crisi del comparto tessile biellese né sulla morte della Strada della lana in Val Sessera, dove i filatoi abbandonati disegnano da un decennio un paesaggio post-atomico. L’aria un po’ lugubre di questo museo a cielo aperto della rivoluzione e dell’involuzione industriale non ha intossicato l’entusiasmo dei suoi 33 anni, anche se aggiustandosi il grosso nodo della cravatta esclama: «Veramente io sarei il più vecchio del mio gruppo, diciassette persone tutte sotto i trenta». Il sarto digitale, infatti, non è uno ma sono tanti. «Siamo sarti due punto zero: vendiamo abiti su misura su Internet».
Simone Maggi è di quelli che inventano start up. Ma farlo qui, dove nel 2009 sparirono di botto 142 aziende, mica due, e farlo nella moda, e farlo quando si stavano svendendo a peso i filatoi rottamati per una miseria, quindici centesimi al chilo, vuol dire avere stoffa. Ovviamente merino. «Durante un master a Parigi ci siamo detti: come creare qualcosa che non c’è, e in che settore? Così scoprimmo che la sartoria online non esisteva e parliamo del 2013, non del Medioevo. Dunque, abbiamo inventato Lanieri».
Comprare un vestito su misura con un clic non è un gesto coraggioso? Come si fa a toccare la stoffa? Come azzeccare la taglia? «Due problemi risolti. Abbiamo aperto piccoli atelier in modo che il cliente possa tastare e farsi misurare, e una volta archiviati i suoi dati si va quasi in automatico». Quasi. E se invece si vuol fare tutto da casa? «Ci pensa il video tutorial, che insegna come farsi prendere le 18 misure necessarie». La più difficile pare sia l’interno gamba, dal cavallo in giù (stiamo parlando di abiti maschili). «Nulla di complicato, e mandiamo anche i campioni di tessuto a domicilio a 10 euro. Se si compra l’abito vengono scalati dalla cifra».
Quasi nativo digitale («per le convenzioni sono fuori dalla categoria per poco, pazienza»), il sarto Simone snocciola i prezzi del campionario: «Le camicie costano da 80 a 130 euro, gli abiti da 590 a 1.040 ma il più caro è uno Zegna che in sartoria costerebbe almeno 1.600 euro». Tre clienti su dieci cliccano dall’estero, America specialmente, e dopo cinque settimane ricevono il vestito a casa. «Non possiamo avere la rapidità di Amazon perché questo è artigianato vero, parliamo di lusso».
La lunga storia della lana biellese, nata in questa valle per via dell’acqua particolarmente dolce e pura, dunque adattissima ai lavaggi dei velli, sta smettendo di essere una collezione di necrologi. Dopo la dipartita di nomi grandi e meno grandi, l’antica sapienza delle mani non è più bastata. «Oggi dobbiamo capire che l’incoscienza serve più dell’esperienza, perché nessuno sa davvero come sarà il domani». Una provocazione, o forse no, quella di Ercole Botto Poala, 45 anni, presidente di Milano Unica e amministratore delegato del Lanificio Reda. Quattrocento dipendenti, cento milioni di fatturato, allevamenti di pecore in Nuova Zelanda, un marchio che dura dal 1865 e poca voglia di lamentarsi. «Basta lacrime, mai conosciuto un imprenditore di successo pessimista».
La quarta generazione dei capitalisti dei filati deve inventare per non soffocare. «Il futuro è digitale. Noi siamo i sopravvissuti del made in Italy perché abbiamo capito che il cliente è cambiato, è diventato un consumatore attivo e decide lui: gli basta un tablet per avere la possibilità di scelta che vuole, sa tutto e pretende di più».
Oltre le vetrate dell’ufficio, la strada che scende a valle è quella dei capannoni chiusi. «Perché, purtroppo, troppi imprenditori tessili vivono ancora negli anni Novanta, la loro è una mentalità da competizione locale, Biella contro Prato e Prato contro tutti. Si tifa solo contro, come allo stadio. Invece, lo scenario è Italia contro resto del mondo. Se mia mamma, non più una ragazzina, riesce a organizzare su Internet una vacanza per dieci persone, significa che il computer ha cambiato il mondo. E anche il nostro modo di produrre e vendere». Sparigliare le carte, tessere un filo diverso e darlo da torcere agli stranieri: tanto, quelli, la nostra qualità se la sognano. Possono solo competere con i costi della produzione di massa, non poco ma nemmeno tutto. Sulla Strada della lana c’è chi si è inventato tessuti per i pennarelli migliori di quelli giapponesi (De Martini), chi ha prodotto bende mediche sempre più sofisticate (Yanga) fino a vestire gli astronauti americani, c’è chi ha foderato yacht come se fossero persone (Donatelli). E c’è chi, come la Reda, ha deciso che la lana può servire anche per i capi supertecnici dello sport: «Offrono prestazioni anche migliori del sintetico, senza puzzare come capre», spiega Ercole Botto Poala che ha giocato con le parole e così è nata “Rewoolution”. Ma l’equilibrio è sempre quello tra radici e innovazione, alta qualità e mercato, tradizione locale e mondializzazione. «Per combattere la crisi bisogna fare una cosa soltanto: mettere soldi. Meglio se sostenendo i giovani e distribuendo una parte della ricchezza sul territorio. Per non delocalizzare, nel 1998 abbiamo ricostruito la fabbrica da zero spostandola di un chilometro e mezzo più a monte. Se fossimo andati nella zona industriale di Biella avremmo risparmiato il 15 per cento, se fossimo andati al Sud il 30 per cento, se avessimo scelto l’Europa dell’est il 50 per cento e se fossimo andati in Cina ci avrebbero pagato loro. Significa che specializzazione e cultura del lavoro non si possono trasportare ovunque: per noi italiani, la tradizione e la famiglia contano. E anche l’arte, anche la bellezza che è il vero made in Italy e offre un sicuro ritorno economico: non vergogniamoci di dirlo, sponsorizziamo. E poi, forse, bisogna smetterla di considerare l’imprenditore un mostro se chiude o un ladro se guadagna».
Bizzarra azienda, la Reda. Ogni cinque anni porta i dipendenti in vacanza gratis, l’anno scorso tutti in Puglia, 75 per cento di adesioni, compresi i dirigenti e i dipendenti all’estero, volo pagato anche dal Giappone e dall’Australia e 50 per cento di sconto ai pensionati. Paternalismo imprenditoriale? Sindrome da Coppa Cobram fantozziana? «In realtà si crea un bellissimo clima, e un magazziniere può pure buttare in piscina il suo amministratore delegato».
Start up, villaggi vacanze, pecore digitali. Ma se poi si vuol davvero avere stoffa, e non arrugginire come le cancellate dei filatoi laggiù verso Biella, bisogna chiedere aiuto alle donne, alle venti Penelopi del dottor Ercole che stanno al telaio con occhio di mamma e dita di nonna, e neppure una sbavatura sfugge. Loro, e le loro colleghe che fanno passare il tessuto dentro macchine dove i fari lo illuminano a giorno per scoprire eventuali magagne (si chiamano, non a caso, “tribunali”) sono il filo teso tra il passato un po’ smagliato e un futuro da legare ben stretto.
(19- continua)