ItaliaOggi, 27 maggio 2016
I gay di New York che quando erano minoranza si aiutavano fra di loro, ma diventati potenti presero tutti i difetti dei gentili, che prima criticavano ferocemente
Il mio annuale viaggio a NY alla ricerca di segnali deboli è diventato, in certi casi, anche una rimpatriata, incontri che si susseguono nel tempo, evoluzione di storie a me care, un mondo che cambia, spesso rimanendo uguale.
Curiosamente solo nel ’93 (avevo quasi 60 anni) incocciai per la prima volta, e casualmente, il mondo dell’omosessualità. L’educazione sessuale che mi dette la mamma fu perfetta. Mai mi parlò del sesso (a quell’epoca era un tema tabù), sempre dell’amore. Durante le vacanze in Garfagnana del ’48 (avevo quasi 14 anni) volle che lo zio mi portasse con lui a piazza al Serchio, alla monta della sua giovenca, così come assistetti, stupefatto, nei capanni del monte Argegna, al rito della liberazione dal «panno-preservativo» del montone e l’immediata monta delle 22 pecore del suo gregge. Educazione sessuale per interposto animale, l’idea di mamma.
Anni dopo mi spiegò perché una sua sorella più giovane aveva lasciato il fidanzato (era un tipo simpatico, anello patrizio al mignolo, farfallino, due cognomi) usò una locuzione che lo fulminò: «Con la zia è uomo, con certi uomini è donna». Era invece inflessibile con quelli che lei chiamava, sbagliando, «cupio» (lei intendeva i pedofili, non gli omosessuali). Il protocollo al quale attenermi era chiaro: nel borgo nuovo ero libero di andare a giocare dove volevo, ma mai e poi mai in piazza Bodoni («covo di cupio»), neppure attraversarla. Ancora oggi, neanche l’auto ci parcheggio.
Nel 1993 chiesi a A. (conoscevo i suoi genitori), trasferitosi a New York a cavallo degli anni ’90, se voleva farmi da consulente di advertising per gli Usa. Ne sarebbe stato entusiasta, aveva però un problema, disse, che dovevo conoscere: aveva deciso di fare outing sulla sua omosessualità, io ero la prima persona a saperlo, dopo i suoi genitori. Gli risposi che la mia omofobia era solo calcistica, iniziava e finiva allo stadio, 90 minuti, due volte all’anno. Fu un eccellente collaboratore, da 23 anni ci vediamo, parla quasi sempre lui, io lo ascolto, è una bella persona. Del mondo gay newyorchese, grazie a lui, so molto, l’evoluzione che ha avuto, le dinamiche che l’hanno percorso, gli odi trasversali che lo hanno segnato, un mondo pieno di storie, pieno di vita. Per esempio, quando erano minoranza si aiutavano fra di loro, quando divennero numerosissimi ed economicamente potenti presero tutti i difetti e gli egoismi dei gentili, che prima criticavano ferocemente. Mi affascina ascoltarlo, niente gossip nelle sue parole, favole, Esopo, Fedro, Disney.
Ci fu un tempo in cui A. era diventato molto ricco, poi precipitò, toccò il fondo quando si ridusse per campare a fare il dog-sitter di un orrendo cane di Park Avenue con la 56°, volgare come la sua padrona. Si riprese, in punta di piedi abbandonò il mondo gay, si sposò con una ragazza della Repubblica Ceca. Nel nostro solito incontro, nel solito locale di Union Square, con i rumori infernali di grattacieli in demolizione o in costruzione (senza l’edilizia selvaggia Ny morirebbe, i palazzinari qua sono i veri padroni del vapore, altro che Roma) mi ha confessato che, se potesse tornare indietro, non farebbe più outing.
Giorni prima avevo letto una splendida intervista del mio libraio Angelo Pezzana (sono cliente, soprattutto amico, della Luxemburg fin da ragazzo, oltre ai libri ci unisce pure l’amore per Israele, anche se io non ho neppure una goccia di sangue ebreo). Angelo ricordava quando un suo professore lo consigliò di non fare outing, e men che meno fondare il movimento Fuori. Pezzana conclude l’intervista, dichiarandosi soddisfatto della sua vita, delle sue scelte, confessa però di aver pagato un prezzo altissimo: «Ho perso il treno della mia vita, non ho avuto il tempo di costruirmi una famiglia con dei figli».
L’amico A., persona molto timida e riservata, non lo dice per pudore, ma ha fatto un outing intellettuale al contrario, ha una giovane moglie, una bimba, non ha rinnegato il suo periodo gay, lo ha semplicemente rimosso, ed è felice.
Io sono felice di saperli entrambi felici.