il Giornale, 27 maggio 2016
Bagnasco ovvero il baby pensionato di lusso, in tonaca color porpora
Sentir parlare di «cardinale-generale» sa un po’ di Medio Evo, ma si torna ai giorni nostri quando si scopre che il presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco, percepisce una pensione di quasi 4mila euro lordi per i 3 anni dal 2003 al 2006 in cui è stato anche arcivescovo ordinario militare.
Un baby pensionato di lusso e in tonaca color porpora. Mentre Papa Francesco raccomanda ai principi della chiesa di recuperare il senso delle origini, se non della povertà almeno della semplicità, e condanna l’attaccamento ai beni militari, le cose faticano a cambiare Oltretevere.
Pensioni e stipendi dei cappellani militari, dei semplici sacerdoti ma soprattutto dei vescovi che comandano, toccano la cifra di 15 milioni di euro all’anno, secondo un servizio pubblicato da L’Espresso. La speciale diocesi, che è anche una struttura delle forze armate, nella cittadella militare della Cecchignola di Roma ha un seminario, la scuola allievi cappellani militari. Fa parte dell’ordinariato militare e solo gli uffici centrali romani pesano per 2 milioni di euro sul bilancio del ministero della Difesa.
I cappellani militari sono equiparati agli ufficiali e i loro capi, come Bagnasco è stato, ai generali di corpo d’armata. Non sono pochi i baby pensionati. Il ruolo di reggente della diocesi comporta 190mila euro lordi di stipendio all’anno, quello che riceve l’ordinario attuale, monsignor Vincenzo Pelvi. La pensione è di oltre 4mila euro lordi al mese. Bagnasco prende di meno perché non è arrivato ai 20 anni di servizio, ma nel 2006 ha compiuto 63 anni e ha avuto diritto a un vitalizio sostanzioso. Idem per tre monsignori-generali suoi predecessori: Gaetano Bonicelli (7 anni di contributi), Giovanni Marra e Giuseppe Mani (8 anni).
Il problema delle pensioni dei cappellani è stato sollevato più volte dai radicali e, interrogato da Maurizio Turco, l’allora ministro della Difesa del governo Monti Giampaolo Di Paola rispose che l’Inpdap non sa dire a quanto ammontino, ma ha stimato che la media degli assegni per i 160 religiosi, di cui 16 alti graduati, si aggiri sui 43mila euro lordi annui. Sommandoli agli 8,6 milioni di euro che costano i 184 cappellani in attività, vescovi compresi, si arriva a 15 milioni per «l’assistenza spirituale delle forze armate».
Per fare qualche confronto bisogna pensare che il vitalizio mensile di un deputato dopo una legislatura è di 2.200 euro a 65 anni, che la pensione media mensile di un dipendente pubblico è di circa 2mila euro, che quella di un iscritto alla gestione privata Inps è di 1.600 euro e quella di un operaio si ferma a 1.200. Tra i lavoratori pubblici i magistrati hanno l’assegno previdenziale più alto, 9.573 euro lordi in media al mese, seguiti dai docenti universitari con 3.565 euro.
«Il governo parla di tagliare 30-40 mila posti tra militari e civili al ministero della Difesa – denuncia su L’Espresso Luca Comellini del partito per la tutela dei diritti dei militari – ma i cappellani dovevano scendere a 116 e invece superano ancora i 180. Quando dicono messa la domenica ricevono l’indennità di lavoro festivo e se vanno in guerra quella di missione».
La questione è imbarazzante per il Vaticano e infatti monsignor Angelo Frigerio, vicario generale dell’Ordinariato, propone di rinunciare a circa 40 cappellani militari, con un risparmio di 3-4 milioni di euro su una spesa complessiva di 9. Ci lavora una Commissione paritetica per la riforma dell’Ordinariato militare, con rappresentanti del governo, della Cei e della Santa Sede. Monsignor Frigerio sostiene che oggi il numero è diminuito: 158. L’organico di circa 200 scenderebbe a 160, di cui 42 sacerdoti cappellani militari e 12 dirigenti e la spesa calerebbe di un terzo, tra i 5 e i 6 milioni.